A candle in the dark by Saeed Babaeizadeh

E luce
non fu

la trascendenza di una bolletta non pagata

Photo: A candle in the dark by Saeed Babaeizadeh

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Lasciati avvolgere anche tu dall'irresistibile scioglievolezza di un trancio di bambù. Lasciati travolgere dalla dirompente trascendenza di una bolletta dimenticata. Lasciati accarezzare dalla commovente testardaggine di un comodino sul malleolo. Lasciati corrompere dalla vellutata supercazzola che ti sto confezionando per spingerti a leggere questo post. Grazie.

Tutto era iniziato così:  “Fido G., stasera vado in palestra, torno tardi. Mi lasci qualcosa da mangiare per favore?”

“Certo, ma chèrie!”

E quindi da brava trentenne affetta dai primi segni di demenza senile, mi ero incamminata baldanzosa e saltellarellante come una leprotta adolescente in direzione della palestra, decisa ad ammazzarmi di addominali, sminchiarmi di tapis roulant (record massimo personale: 5 minuti e 37 secondi prima di sfracicarmi al suolo in preda a convulsioni) ma soprattutto, decisa a nascondermi in tutti i modi possibili da lui, il grosso cinese che avevo descritto qui, perchè alle mie ovaie ci tengo.

Mo’, a me la palestra mi fa due effetti particolari e consequenziali: il primo è che anche solo dopo una seduta io già mi sento fichissima. Ma veramente, eh? Io dopo una serie di addominali da 15 mi guardo allo specchio e mi vedo già la tartarughina emergere vittoriosa dall’adipe; dopo 6 minuti di corsa sento distintamente gli applausi provenire dagli spalti e dopo dieci piegamenti mi pare di avere il culo tracotante di Belen, mortacci sua. Ragion per cui, arrivo a casa e mi sento giustificata a scofanarmi l’impossibile, perché diamine, sono talmente bona che me li potrò pure permettere du piatti di carbonara e quattro etti de caciocavallo. Il rinforzino, serve: la scienza insegna.

E quindi, sulla strada verso casa sbavavo come il cane di Pavlov pensando a cosa il fido G. mi avrebbe fatto trovare per cena. Infilo la chiave nella toppa, accendo le luci e… accendo le luci e… oh, regia! Ho detto “accendo le luci”: a questo punto della storia si dovrebbero accendere. Le luci, dico. No? No.

Buio. Pesto. Aleandro Baldi. Come fare? Non è che forse quel foglio che ho trovato attaccato alla porta di casa l’altro giorno, vergato in lettere scarlatte nella lingua del demonio, era l’avviso che ce l’avrebbero staccata? La luce, dico. Forse avrei dovuto chiedere spiegazioni  a qualcuno invece di farci un aeroplanino e passare un gioioso pomeriggio a cercare di centrare l’orecchio del fido G. mentre provava a lavorare. Vabbè, vuoi mettere le risate però?

In ogni caso adesso mi ritrovo di fronte a due gravissimi problemi:

  • il primo è che il fido G. non è in casa, e questo, scevro da tecnicismi di sorta, significa che non c’è un tubo di pronto da mangiare. Merda. (Tra mangiare e merda c’è un punto, non so se l’avete notato. Così, per chiarezza, che già sono chiatta e sfigata, se mi fai pure coprofaga, dopo ci manca solo che mi compro il disco di Albano e poi ce le ho tutte).
  • Il secondo, tutto sommato più trascurabile, è che non si vede una mazzafionda di niente. E in questi casi qua, possiamo pure avere i telefonini spaziali con millemila funzioni, ma quel santissimo Nokia con la lampadina tascabile, non ce lo ridarà mai indietro nessuno. Amen.

E’ chiaro che il primo problema è quello che va risolto più in fretta, pena sarebbe scendere di sotto e cibarmi del guardiano notturno nella sua interezza. E quindi, in questa notte senza luna, pesco dal frigo due uova e le sfrango in padella, agguanto un paio di pomodorini, apro per l’occasione una confezione di bambù (vorrei essere creduta, per una volta: bambù) e mi preparo una cena che consumerò al buio. Ora, mangiare al buio è un po’ strano: mai fatto? Va molto di moda, mi dicono dalla regia. Fa molto avant garde, n’est pas? Una volta uno m’ha detto “Tesoro guarda, un’esperienza trascendentale, per imparare a vedere oltre l’apparire, cogliere nel profondo la ricchezza multisensoriale che c’è in ciascuno di noi, abbandonarsi all’incognito e trovare nuove consapevolezze interiori”. Oh, così m’ha detto, giuro: me pareva Ruggero l’hippie di Un sacco bello. Ma mi sa che forse io non sono ancora pronta a cogliere la trascendenza, diciamo, perchè lì, seduta al tavolo a fissare l’oscurità intorno a me, mangiando uova, pomodori e bambù – Trinacria mia, perdona questa tua figlia degenere –  l’unica riflessione che m’è venuta è stata: “Se l’inferno esiste, il mio inferno personale sarà mangiare in un ristorante cinese al buio”.

Il secondo problema, e cioè quello di muoversi a tentoni fracassandosi le ginocchia sui comodini, è che come conseguenza del taglio della luce, non funzioneranno le lampadine, e va bene. Non funzionerà la lavatrice, non funzionerà il microonde, internet, lo stereo, la tv, la vitale borsetta dell’acqua calda, e ce lo faremo andare bene. Ma soprattutto: non funzionerà il frigo.

E chi segue questo blog sa benissimo di cosa sto parlando.

 

 

 

 



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