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Corso pratico di
francesitudine

China on the road 4.0


Dello stesso episodio...

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Questo è un post che parla (soprattutto) di francesi. Se sei francese dovresti evitare di leggerlo: magari torna la prossima settimana, che ne trovi uno sui cinesi.

Io, nelle campagne cinesi, ho visto cose che voi non cinesi non potete neanche immaginare.

Ho visto autisti di autobus lanciarsi a 90 chilometri orari, su una stradina di montagna a tornanti, senza guard rail, in discesa. Ho visto contadini coi piedi nudi sprofondati nel fango trasportare su una lettiga un turista cinese cicciobomba di 120 kg su per un sentiero di montagna, con una pendenza del 75 percento. Ho visto turiste cinesi praticare lo stesso impervio cammino, a piedi, indossando decolleté  tacco 13 e abiti da cerimonia di chiffon fucsia.

Io sono stata a bordo di quell’autobus, io mi sono inerpicata a piedi accanto al cicciobomba in lettiga, io ho fissato per ore  i piedi di quelle donne senza riuscire a comprendere i motivi di tanta gratuita demenza. E ci sono dei quesiti che, per quanto mi riguarda, sono destinati a rimanere insoluti; per esempio:

1)      Autista di autobus: ma tu hai veramente tanta fiducia nelle tue capacità o semplicemente vuoi morire per poterti reincarnare in Rocco Siffredi nella prossima vita?

2)      Cicciobomba: ma tu ti rendi conto che hai due estremità inferiori chiamate gambe o ti senti figo lì sulla tua lettiga sapendo che a breve i due contadini moriranno per insufficienza respiratoria?

3)      Turiste cinesi dal look discutibile: ma voi lo sapete che state andando in montagna o siete state rapite, bendate e portate qui con la forza mentre presenziavate come amiche della sposa a un matrimonio ad Aci Catena?

No, così per dire.

E comunque, torniamo al cuore del post così mi posso sfogare ancora di più. Vi dico subito che il post parlerà di francesi. Di francesi in Cina. Di francesi in una sperduta risaia cinese. Di come basti una semplice domanda per dimostrare la propria francesitudine. Pronti, partenza, via.

Io e il fido G., memori della drammatica esperienza nella giungla/bordo fiume/risaia, decidiamo di affidarci ai servizi di una giovane contadina del Guangxi, che si offre di farci da guida per i sentieri meno battuti che si dipanano tra i campi. La giovane contadina si fa chiamare Carrie, ma per qualche ignota ragione il fido G. la chiamerà Matilde per tutto il tempo: lei non farà una piega. E insomma, Carrie/Matilde è una specie di guida turistica improvvisata e sa parlare l’inglese, ragion per cui possiamo decretare che sia una sorta di miracolata, poichè in generale una che:

a) nasce in un villaggio di montagna del Guangxi

b) cresce in una famiglia di contadini che grazie ancora che non t’hanno affogata nel fiume solo perché sei nata femmina

c) dista cinque ore di cammino dal primo centro abitato

secondo me non ha né il tempo né la possibilità né la voglia di studiare l’inglese, la verità. Per una serie di congiunzioni astrali positive lei ce l’ha fatta: una su centomila, diciamo? E diciamolo, va! Carrie/Matilde non ha mai visto il mare – quando me lo dice mi viene voglia di abbracciarla e dirle che andrà tutto bene – mi mostra con orgoglio le sue gambe, che è riuscita a preservare bianchissime, che contrastano con il marrone scuro del viso e delle braccia, e mentre pedaliamo mi parla della sua famiglia e delle difficoltà della vita nei campi.

Di lei credo che mi rimarranno impresse per sempre nella memoria due cose:

1)      La sua risposta alla domanda: “Si possono trovare tanti serpenti qui?” “Si, se sei fortunata”. Perché un serpente può significare morte per avvelenamento per alcuni o cena per altri: la fortuna dipende dai punti di vista.

2)      L’espressione del suo viso quando il fido G. le dice: “Ho preso troppo sole. Adesso sono rosa, come gli inglesi. Lo sai tu che gli inglesi sono rosa? Come il roast beef. Eh? Lo sai che gli inglesi sono rosa?!” Avete presente lo smarrimento cosmico? Ecco, quello.

Insomma, mentre facciamo una pausa-thè in un villaggetto di tre case, incontriamo una coppia di francesi anch’essi in bici: appurato che il fido G. è dei loro e che io capisco e parlo la loro lingua, la coppia decreta che può fermarsi a chiacchierare con noi. La donna esclude in automatico la possibilità di parlare inglese, quindi per non lasciare in disparte la nostra Carrie/Matilde provo a tradurre dal francese verso l’inglese e il cinese. Ad un tratto la donna francofona mi dice, testuale: “il mio inglese non è molto buono, meno male che parli francese. Del resto, è risaputo che gli italiani hanno un dono per le lingue”. “Beh” ho nicchiato, cercando di prendere tempo: non volevo essere scortese, ma è in quel momento che avrei dovuto capire che non ci stava tanto con la testa. E poi – lo giuro, ero lì, l’ho sentito con le orecchie mie!- la donna si rivolge alla guida/contadina del Guangxi (della quale ricordiamo le caratteristiche  descritte ai punti a, b, c): “And you, do you speak french?”

E lì sono accappottata dalla sedia.

 

 

 

 

 

 



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