cattivi-odori

Portatrice sana
di pidan

Lo chiamavano cibo


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Qualche giorno fa ho realizzato che se l’inferno esiste, la sezione a me dedicata avrà l’odore delle colazioni cinesi. I cinesi, infatti, a differenza nostra, non amano la colazione dolce. Piuttosto che mangiarsi un cornetto alla crema preferirebbero, credo, imburrarsi una pala per la pizza e ficcarsela giù per l’esofago. I cinesi a colazione mangiano salato.

Qualche giorno fa, mentre ero in metropolitana, pigiata tra la rotula di un signore molto alto e la panza sudata di un cinese molto brutto, ho realizzato che se l’inferno esiste, la sezione a me dedicata avrà l’odore delle colazioni cinesi.

I cinesi, infatti, a differenza nostra, non amano la colazione dolce. Piuttosto che mangiarsi un cornetto alla crema preferirebbero, credo, imburrarsi una pala per la pizza e ficcarsela giù per l’esofago. I cinesi a colazione mangiano salato.

Io – dovete saperlo perché è essenziale ai fini della storia, anche se ammetto che sticazzi –  non posseggo il senso dell’olfatto, cosa che in Cina mi salva dal 70% dei pericoli giornalieri. Per sentire il profumo dei cibi me li dovete infilare nel naso e spingere fin quasi al cervelletto, “quella che noi chiamiamo rosa, anche chiamata con un’altra parola avrebbe lo stesso odore soave”, per quanto mi riguarda avrebbe anche potuto trattarsi di un plantare, e riesco a sopportare quasi senza battere ciglio anche alcune flatulenze, purchè di media portata.

Quel giorno era anche martedì, per cui in base alla teoria dell’escalation delle puzze già esposta in un post precedente, non rilevavo pericoli particolari per la mia incolumità. Ascoltavo la musica in cuffia e aspettavo la mia fermata. Ad un tratto, però, sono stata investita da qualcosa che mi ha letteralmente stordita, come una cozzata sul collo mentre dormi, tipo. Un odore difficilmente collocabile, ma pericolosamente vicino a quello che attribuirei ad un cadavere in decomposizione.

Una veloce occhiata in giro ed ecco svelatane la provenienza. Una ragazza a qualche metro da me aveva tirato fuori una bustina di plastica trasparente dalla quale sbucava Esso. Esso è il pidan, una creatura aliena e schifida che i cinesi si ostinano a chiamare cibo. Si tratta di un uovo sodo, lasciato a fermentare per giorni (o mesi, o anni, non lo so) dentro una mistura a base sostanze non meglio identificate (nessuno dei miei amici gialli ne conosce gli ingredienti segreti, oppure si imbarazzano troppo a svelarmeli e basta). Insomma, completato il processo di fermentazione, la creatura assume un colore nerastro e un odore nauseabondo molto simile allo zolfo. Cose che in una società civile e democratica dovrebbero essere come minimo penalmente perseguibili.

La ragazza, incurante degli sguardi che le lanciavo – prima sconcertati, poi malevoli, infine assassini – tenendo l’ovetto tra le ditina candide, mordicchiava golosa spandendo nell’aria il terribile afrore pestilenziale, tra l’indifferenza generale peraltro. In quel momento mi sono sentita molto sola: mi sono guardata intorno alla ricerca disperata di uno sguardo occidentale che potesse dimostrarmi un po’ di solidarietà, ma non ne ho trovato nemmeno uno. Che per carità, i gusti sono gusti, e io mica posso chiamare la polizia perché stai facendo colazione. Razionalmente mi rendo conto che sarebbe un tantino fuori luogo… però, se non può farlo la legge, almeno il fato dovrebbe darti la punizione che meriti. Non devono succederti cose brutte, ma che ne so: una merda di cane, almeno, entro la giornata la dovresti pestare, ecco.

In ogni caso quando ho incontrato il pidan e la portatrice sana di pidan erano le otto del mattino. Datemi pure della melodrammatica, ma il coraggio di accostarmi al cibo mi è tornato dodici ore dopo.



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