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Qui, col mare davanti e i piedi nudi appoggiati su uno scoglio caldo, esiste solo il presente. Che forse, se ci pensi, è rimasta l'unica maniera di esistere.

Il mio cantuccio è Santa Maria La Scala, la mia stazione di rifornimento dell’anima, se vuoi.

Santa Maria La Scala è splendida sempre, ma diventa quasi mistica nei primi giorni di Marzo, al primo sole primaverile; semi deserta se non per la presenza mia, dei due gabbiani appollaiati sullo scoglio che emerge dal mare di fronte a me, un gatto selvatico che appare e scompare tra i massi e lo sciabordìo delle onde sotto il mio culo.

Quando le circostanze mi mettono all’angolo, è qua che mi rifugio. Da sola. Muta.

Questo è un non luogo, una categoria dell’anima in cui la sospensione del tempo è una benedizione che ti strappa via dal gorgo spaventoso del futuro. Qui, col mare davanti e i piedi nudi appoggiati su uno scoglio caldo, esiste solo il presente. Che forse, se ci pensi, è rimasta l’unica maniera di esistere. Oggi e qui, forse perchè solo oggi e solo perchè qui, mi sento in equilibrio con l’anima mia.

Quando tornerò a casa sarò di nuovo e ancora in balia delle onde spezzate e nere della mia mente ballerina, ma adesso no.

Adesso è sintonia con la corrente, adesso è segui il granchio che si arrampica su una pietra che deve parergli montagna, adesso è indovina la sagoma dei massi di fondale in un gioco di rifrazione infinito. Adesso è respira il profumo di questo mare qui, adesso è segui le scintille del riflesso del sole sull’acqua, un po’ più in là, ancora un po’ più in là, fino a lontano lontano dove diventa solo e solo azzurro, e possibilità, che adesso non vedi ma domani magari, chissà.

Oggi è talmente quieto, silenzioso, tranquillo, che pare che il male non possa arrivare. Pare, questo borgo di mare, sia adagiato sulla mano a conca di una divinità misericordiosa e benevola e sorridente. Pare impossibile che un mese fa, lo stesso mare si sia divorato tre ragazzi di vent’anni. Trascinati, inghiottiti, restituiti poco a poco, in un gesto di clemenza tardiva e inappellabile.

Però è cosi. Il mare, anche quello più familiare, quello dal quale non puoi che aspettarti che conforto e protezione, ha l’anima sua, e agisce e reagisce in base ai moti suoi, e se infuria deve sfogare, chè se non lo facesse muterebbe gli equilibri del resto degli elementi. Deve sfogare, poichè un mare sempre piatto, pensaci, negherebbe la propria natura, diverrebbe lago, che per carità, sempre bello, ma è un’altra cosa. Un mare sempre tranquillo, mi devi credere, prelude allo tsunami.

Io lo so.

E dunque sono stata mare anche io, perchè non volevo distruggere tutto, ma per non distruggere tutto ho dovuto distruggere molto, se riesci a trovarci un senso, insomma, vedi tu. Ho ricevuto correnti avverse e ho difeso le mie grotte sotterranee come ho sentito di fare. Con la tempesta. Senza riflettere troppo. Facendo burrasca e trascinandomi dentro chi passava a guardarmi. Banalmente, per non morire affogata dentro me stessa. Per non soccombere al gorgo feroce e violentissimo che mi attirava in giù.

E oggi sono qua, un po’ dentro un po’ fuori, che provo a bagnarmi i piedi nel presente  guardando un po’ più in là, ancora un po’ più in là,  fino a lontano lontano dove diventa solo e solo azzurro, e possibilità, che adesso non vedi ma domani magari, chi lo sa.



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