The Rolling Stones during the Glastonbury Festival 2013, Worthy Farm, Pilton, Somerset -  by huffingtonpost.co.uk

Habemus
Stones

Rolling Stones a Shanghai: variabili impazzite

Photo: The Rolling Stones during the Glastonbury Festival 2013, Worthy Farm, Pilton, Somerset - by huffingtonpost.co.uk

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La settimana scorsa sono andata al concerto dei Rolling Stones qui a Shanghai. Penso sia stato un evento storico e irripetibile. Sono stata invidiata e pure bonariamente (spero) insultata per cotanta fortuna. E infatti, il karma ha sentito tutte quelle solleticanti vibrazioni positive e mi ha punita. Ecco come...

Nuntio vobis Gaudium magnum, habemus Stones! Finalmente ce l’ho fatta! Sono riuscita a:

1) vedere un concerto dei Rolling Stones

2) coinvolgere il fido G. e

3) farmi vomitare addosso.

Probabilmente devo smetterla con le cattiverie sui cinesi. Ma andiamo con ordine, altrimenti è tutto pippa.

• Allora: c’è la musica, c’è il rock e ci sono gli Stones, ok? Non è che gli Stones fanno parte della musica e del rock. Gli Stones sono una cosa a parte: sono l’undicesima categoria aristotelica. Amen. Gli Stones, per quanto mi riguarda, sono atemporali, immanenti e perenni come i mini ghiacciai dentro al mio freezer. Detto questo, passiamo al punto seguente.

• Nonostante io sia intimamente convinta che Mick Jagger sia un’entità  immortale, bisognava coinvolgere nel progetto un fido G. piuttosto perplesso, compito che si è rivelato assai più semplice del previsto: “Fido G, vengono i Rolling Stones a Shanghai!Dai, andiamoci, andiamoci, andiamoci (ad libitum)”, “Mmmhh, non so, io preferirei vedere David Bowie”, “Cccerto..se Bowie fosse un opzione, ma visto che non lo è, andiamo a vedere gli Stones!”, “Dai, ci penso e poi ti dico”, “Fido G., (perdonami Mick, capirai quando sarai più grande), ti dico solo che in 4 c’hanno tipo trecent’anni, tu lo sai che questo potrebbe essere il loro ultimo concerto, vero?”, “Ok, compra i biglietti.”

• Lo so che tutto ciò che state aspettando è la parte sul vomito, ma portate un poco di pazienza, si?

Non starò qui a torronarvi su quanto siano fighi sul palco, su cosa si è scatenato su Jumping jack flash o su Street fighting man, e nemmeno vi racconterò di quanti giri di palco, saltelli e moves like jagger sia riuscito a fare quello stecco settantenne coi suoi amichetti.
A me, in realtà, piacerebbe parlare di Charlie Watts, che – sono sicura che voi lo sapete, ma io che sono una capra sono dovuta andare a cercarmi il nome su wikipedia – è il batterista dei Rolling Stones e ha questa faccia.

batterista stones

Ora, presa da sola, io a questa faccia non ho niente da obiettare. Solo che non so se avete presente gli altri tre. Gli altri tre li vedi e dici: “Minchia, rooocksssss!”. Questo lo vedi e dici: “Mi scusi buon uomo, saprebbe mica dov’è la fermata del 23?” (possibilmente con accento piemontese). Senza nulla voler togliere al vecchio Charlie, io credo che sia la creatura meno rock dell’emisfero boreale, e proprio in virtù di questo – con la tua T-shirt rossa basic, quel faccino da Mogol senza la dentiera e quell’espressione da idraulico in pensione – rockissssssimo! Perché è ora di finirla con la sindrome della groupie per il frontman: si, lo sappiamo tutti che Mick Jagger c’ha quel fascino tutto suo, quel magnetismo animale, quel movimento di bacino che lèvati, quelle labbrone da scimpanzè arrapante, quella sexaggine esagerata che ti ipnotizza e che ti fa esclamare, pure se c’ha settant’anni: “Ma guarda, io quasi quasi a nonno Jagger gliela darei pure”. E perché a nonno Jagger si e a zio Charlie no, scusa? Che c’ha, la rogna?

Comunque: di pomeriggio, prima del concerto, avevo risposto ad un commento su facebook, dicendo che questo concerto era un probabile regalo di Dio, per compensarmi dei rutti e degli sputi che sopporto quotidianamente dai parte dei cinesi. E infatti al concerto, puntualmente inviato dal karma, arriva questo tipo biondino e dall’aria vagamente americana che si siede vicino a me. Nel giro di 30 secondi, vomita 3 volte, si accascia su se stesso ed apparentemente, muore. Nel corso dello spettacolo si sveglierà solo altre due volte: una per tentare di applaudire (ci proverà con testardaggine per 20 secondi, fissandosi le mani e cercando di farle sbattere l’una contro l’altra, ma il dio della coordinazione non lo assisterà); l’altra per cercare di infilzarmi il suo ombrello nella coscia.

Adesso vorrei dire due cose veloci veloci: la prima alla ragazza seduta nella fila davanti. Amica, hai presente quel brivido caldo che hai sentito lungo la schiena mentre Keith Richards si esibiva in quel meraviglioso assolo? No, non era emozione, era il sottile filo di bava che colava dalla bocca di quell’essere subumano direttamente sulla tua maglia. Non ho voluto dirtelo per non rovinarti la serata.

L’altra è dedicata alla creatura mitologica col corpo da uomo e la testa di cazzo seduta, appunto, accanto a me: allora. Spendi un sacco di soldi per vedere un gruppone mi-ti-co , arrivi già ubriaco e ti addormenti alla prima canzone. Ma io mi chiedo e dico: si può essere più minchioni? Non voglio infierire però, mi basta aver scoperto, alla fine del concerto, che sei francese. Poi uno dice… vabbè va.

Comunque, se mai stessi leggendo questo post, questa qua sotto è la scaletta del concerto, magari ti fa piacere sapere cosa  stava succedendo mentre sonnecchiavi sotto quel tuo tiepido lenzuolino di vomito. Ah, guarda che mancano i vaffanculi che t’ho cantato io, ma sono convinta che il tuo subconscio li abbia registrati lo stesso.

scaletta

E infine, tanto per non farci mancare niente, una dedica anche ai cinesi: va bene tradurre le parole straniere nella vostra lingua. Va bene anche tradurre le parole più internazionalmente riconosciute. Va bene “hotel” che diventa jiudian, va bene “airport” che diventa jichang, ma mi chiedo:

“E’ veramente, veramente necessario tradurre anche il nome dei Rolling Stones?! Ti pare normale chiamarli GUNSHI?”

No, dico: non staremo un tantino esagerando ?!



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