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Di S. potrei raccontare molte cose, ma visto che in questo blog mi sono ripromessa di non indugiare mai su circostanze penalmente perseguibili, mi limiterò a concentrarmi su due fenomeni che ho scoperto grazie a lui e per cui credo gli vorrò bene per molti anni a venire. Perchè alcuni hanno amici importanti; altri ne hanno di potenti; altri ancora di pericolosi. Io ho S.

A Shanghai, da più di un anno, ho un nuovo amico. Questo mio amico, che per ragioni di privacy non vuole si sveli il suo vero nome – Sergio – è pugliese e fa l’architetto. Da questo momento in poi, dunque, al fine di preservarne identità e dati personali sensibili, lo chiameremo, per coerenza, Sergio.

Sergio è una persona molto particolare per due motivi: intanto perché è normale – di una normalità rara, antica e rassicurante –  e poi perché a memoria d’uomo non è mai stato avvistato senza cappello. Da quando è arrivato a Shanghai, che combacia più o meno con quando l’ho conosciuto, credo di non essere mai riuscita a vedergli la testa. Non so se abbia preso l’abitudine in Cina o se lo facesse pure in terra natìa. Alcune teorie non confermate sosterrebbero che si serva del bieco espediente per nascondere un accenno di calvizie, ma vai a sapere: è talmente anziano che la leggenda si perde nella notte dei tempi, più o meno tra il big bang e la data di nascita di Nilla Pizzi.

Un’altra caratteristica di Sergio è che non ride mai apertamente: non l’ho mai sentito ridersela di gusto, di quelle risate grasse e contagiose. Lui lo fa più che altro sotto i baffi. Sghignazza, perlopiù, ma rimane sempre pacato: una specie di Lord Tarantino, non so se mi spiego.

Nonostante l’età che avanza e quell’accenno (non confermato) di calvizie però, Sergio non perde occasione alcuna per cercare di accoppiarsi con donne cinesi a caso, che suole irretire durante serate danzanti di seconda e terza categoria. Di questo non gliene faremo una colpa, essendo la febbre gialla una malattia che colpisce la stragrande maggioranza di stranieri a Shanghai non appena poggiato piede sul suolo cinese. Da testimonianze già messe a verbale sembra che una sera, al cospetto della bellissima principessa Sharpei, Sergio abbia pronunciato la frase sibillina: “Maronna mia, teng’ ‘na sajong’ tant!”, per la traduzione della quale sono già stati interpellati diversi periti, filologi ed esperti di lingue preromaniche, che con l’ausilio di antiche iscrizioni messapiche stanno cercando di far luce sull’enigma. Indiscrezioni, comunque, sembrerebbero confermare che il termine “Sajong” corrisponda alla ben più conosciuta  “Minchia”.

Di Sergio potrei raccontare molte cose, ma visto che in questo blog mi sono ripromessa di non indugiare mai su circostanze penalmente perseguibili, mi limiterò a concentrarmi su due fenomeni che ho scoperto grazie a lui e per cui credo gli vorrò bene per molti anni a venire.

La prima ha a che fare con gli antifurti: qui bisogna aprire una breve parentesi sui motorini cinesi. I motorini cinesi sono letali per qualunque forma di vita attraversi il loro cammino, soprattutto perché i cinesi li guidano rigorosamente a fari spenti nella notte, rischiando di stendere varia fauna urbana. In più, basta urtarli per sbaglio, anzi sfiorarli, anzi respirargli accanto, anzi fissarli per più di tre secondi consecutivi per farne scattare un antifurto assordante e infinito che fa esattamente così:

Chiaramente, fu Sergio, in un afosa giornata d’estate, ad iniziarmi agli inconfessabili significati aulici dei film di serie B – nello specifico quelli con Lino Banfi – che con un certo becero snobismo di sinistra avevo sempre ignorato, scema io guarda.

Il secondo fenomeno che ho scoperto grazie a lui è invece la telenovela piemontese. Ogni descrizione sarebbe superflua, vi basti sapere che stiamo disperatamente cercando di scaricarne gli episodi integrali su internet. Saremmo disposti anche a pagare, per cui fatevi avanti, sciacalli.

http://www.youtube.com/watch?v=ML7XshisZrM

Per ultimo, vorrei informare i lettori che questo articolo è stato scritto sotto insistenza del Sergio medesimo, con l’unico scopo di saziarne le fameliche vanità. Siccome sono una misera scribacchina prezzolata, mi sono prestata. Prezzolata solo perché mi piaceva il termine, in realtà l’ho fatto a titolo gratuito, purtroppo.

Se però anche voi volete saziare le vostre, di fameliche vanità, e desiderate un post scritto appositamente per voi con cui agghindare la vostra bacheca di facebook, sappiate che sono in vendita: astenersi perditempo, telefonare ore pasti, sconti comitiva. Ulteriori riduzioni se lo volete coi congiuntivi sbagliati.

“Vanità, decisamente il mio peccato preferito”, direbbe qualcuno là sotto.



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