Photo: banana man will save the day, by ilubgrub.com

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Quando qualcuno dice di essere "un uomo banana", le possibilità che sia un maniaco sessuale, uno stalker, Rocco Siffredi o un fruttivendolo sfiorano il 99%.
Ma esiste anche quell'1% che non può essere ignorato, specialmente in Cina. Ecco perchè...

Oggi in pausa pranzo, invece di abboffarmi di squisitezze cinesi nella mensa vicino al mio ufficio, dove con dieci kuai (poco più di un euro) posso rimpinzarmi di cibo fino a farmi scoppiare i capillari degli occhi, ho deciso di concedermi un salutare e costosissimo sandwich nel baretto per giovani rampanti occidentali strapagati, club al quale non posso vantarmi di appartenere – non essendo né giovane, né rampante, né tantomeno strapagata – ma nel quale mi imbuco di tanto in tanto ostentando la mia migliore espressione da occidentale giovane, rampante e strapagata. Dopo una settimana di mensa cinese, infatti, il mio stomaco reclamava il meritato riposo del guerriero.

Al baretto, come nelle migliori tradizioni, sono stata vittima di quella che in un paese normale sarebbe una spassosissima candid camera, ma che in Cina, invece, è la drammatica realtà. La candid camera non candid camera è stato sostanzialmente un profondo scambio di battute con protagonisti me e la cameriera, più o meno su questo tenore:

Io: “Salve, un caffè freddo, per favore.”

Cameriera: “Caldo o freddo?”

Io: “Un caffè freddo”

Cameriera: “Si, caldo o freddo?”

Io: “Un. Caffè. Freddo”

Cameriera: “Ho capito, caldo o freddo?”

Io: Un… un… un caffè freddo, hai presente? Brrrrrr, brrrrrrrr!”

Cameriera: “Ah, ok, un caffè freddo”

Ecco, ssssi. Cose che a confronto il cavallo bianco di Napoleone si gambizza dopo tre secondi.

Poi, con il mio caffè freddo freddo brrrrr, sono andata a sedermi ad uno dei tavolini fuori, dove poco dopo è arrivato un cinese che mi ha attaccato una pezza. Visto che notoriamente sono una persona aperta e cordiale, ho accettato di buon grado di scambiare due chiacchiere con lui. C’è stato un breve scambio di informazioni base (di dove sei, che fai, da quanto sei a Shanghai) e poi lui mi ha detto di essere cinese, ma di abitare negli Stati Uniti da tanti anni. A un certo punto – credo sia stata la quinta domanda – mi ha chiesto se avessi mai fatto sesso con un cinese. L’ho guardato un po’ con ammirazione (per il coraggio dimostrato) e un po’ con disgusto (nel caso il “cinese” cui si riferiva potesse essere lui), gli ho detto di no (senza aggiungere che i cinesi ce l’hanno piccolo, perché oltre che aperta e cordiale, notoriamente sono pure una signora), gli ho augurato buona giornata e me ne sono andata.

Tornata in ufficio ho raccontato l’episodio al mio capo, pisciandomi sotto dalle risate, chiaramente. Il mio capo mi ha guardata serio e mi ha detto: “Credo che lui sia un xiangjiao ren”

“Un che, di grazia?!”

“Si, un uomo banana!”

Un uomo banana. Certo! Un uomo banana!

“Capo, sebbene tu mi stia servendo una battuta da scaricatore di porto su un vassoio d’argento, solo solo perché sono una signora, glisserò. E comunque. Che straminchia è mai, un uomo banana?”

“La banana di che colore è?” mi chiede da dietro gli occhialetti. “Gialla!”, rispondo, inconsapevole della portata rivelatrice della mia risposta. “E dentro?”

“Bianca…”

“E quindi, non capisci perché è un banana ren, un uomo banana?”

“…”

“Seguimi”, continua lui, “Noi cinesi siamo gialli. Voi invece siete bianchi. Ci sei? Lui è nato in Cina, quindi è giallo, ma ha vissuto tanto tempo in America, quindi è anche bianco. Fuori giallo, dentro bianco. Banana ren!”

E certo: banana ren! Pirla io!



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