silenzio

Il silenzio
è d'oro

Il serial killer scandinavo


Sidebar

Un grande pregio di Shanghai è che qui nessuno capisce l'italiano. Ad esclusione degli italiani, chiaramente.
Questo per dire che puoi provare a scappare dalla tua demenza, ma la demenza correrà sempre più veloce di te.

Un grande pregio di Shanghai, così come di ogni altra città al di fuori dell’Italia  – ad esclusione di micro-nicchie di  italianità o di simil-italofonia, tipo cantoni svizzeri a caso, Argentina, Spagna e certe volte Francia – è che qui nessuno capisce l’italiano (ad esclusione degli italiani, ahimè).

A primo acchito penserete che sono matta o che sto iniziando a rinnegare le mie origini, ma se siete delle serpi come me (e lo so che lo siete), capirete anche voi che vivere in un paese in cui l’italiano, come lingua, non se lo fila di pezza nes-su-no, è un enorme vantaggio, poiché ti permette di

  • insultare gente a caso anche senza un motivo valido (antistress)
  • smadonnare mentre vieni spintonata dalle vecchie in metro e
  • sparlare di chiunque mentre lo guardi in faccia sorridendogli (perchè l’educazione è un valore importante).

Tutto questo –  e adesso toglietevi pure dalla faccia quell’aria da sacrestana timorata che ha visto il prete mentre  pisciava – è una goduria spropositata, che talvolta può sfiorare il sublime.

Qualche tempo fa sono andata all’Ikea con la mia amica Amina, anche lei italiana e cultrice dell’insulto gratuito, meglio se a danno dei cinesi. Amina è di Cuneo, ma nonostante questo siamo diventate subito amiche. E ciò è successo per la seguente motivazione: durante uno dei nostri primi incontri, Amina mi ha confidato di aver portato avanti un esperimento sulle unghie dei suoi piedi, allo scopo di  verificarne la velocità di crescita in modo più scientificamente accurato possibile. Dunque, un pomeriggio d’estate (ma forse era inverno, chissà) si è smaltata le unghie di arancione corallo e ha deciso di non togliere più lo smalto, per verificare quanto tempo ci volesse prima che l’ultima pennellata andasse via per sempre con l’ultima sforbiciata. Risultato: un anno. Capitemi, una così non potevo lasciarmela sfuggire.

Così, dicevo, siamo andate all’Ikea in metro, destando l’interesse antropologico di una signora cinese che ci fissava con aria divertita, come fosse allo zoo davanti alla gabbia dei babbuini, sussurrando cose al marito seduto accanto a lei: probabilmente insulti, per bilanciare gli equilibri dell’universo. Noi, nel frattempo, per non essere da meno, ci siamo messe a inveire apertamente e con una certa ferocia contro le scarpe della ragazza seduta di fianco alla signora. E’ stato tutto molto bello, tanto che ci siamo ripromesse di rifarlo presto.

Ad un certo punto, in metropolitana è entrato un ragazzo biondo, coi capelli molto corti e pallido quasi quanto il fido G. Abbiamo decretato immediatamente e all’unisono che fosse il serial killer norvegese famoso per il massacro di Oslo. Siccome, notoriamente, i norvegesi non capiscono l’italiano, ci siamo dilettate a parlarne per tutto il tempo del tragitto a gran voce, finchè non siamo scese. Al ritorno, gaia coincidenza, il serial killer era di nuovo sul nostro vagone. Visto che io dovevo scendere una fermata prima di Amina, e alla mia fermata è sceso anche Anders Breivik, Amina ha deciso di urlare dal vagone, fino a farsi sanguinare i polmoni credo, le seguenti parole: “Attenta, è sceso anche il serial killer scandinavo! Scappa via e salvati finchè sei in tempo!”, mentre io sghignazzavo dalla banchina come un’ebete.

Qualche secondo dopo, mentre salivamo insieme le scale mobili, Breivik si è girato verso di me, e con un ghigno mi ha chiesto, sfoggiando un chiarissimo accento bolognese: “Scusa, sai mica che ore sono?”

Mi si sono rizzati i peli sulle braccia. Per la figura di merda.

Certe volte il silenzio è d’oro.



 Condividi 

Non ne hai avuto ancora abbastanza ?

Abbattimi con un commento!