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(Con)vivi e lascia
convivere

consigli per farsi degli amici


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A volte le persone arrivano nella nostra vita per caso, altre invece con uno scopo ben preciso. Ecco, in tutte le vite in cui mi è capitato di entrare, io ci sono entrata con una sola missione: provocare una serie di traumi inutili, gratuiti e letali. Però dicono che ciò che non ti uccide ti fortifica: se è così mi sa che un sacco di gente mi deve dei ringraziamenti.

E quindi gnente, adesso convivo con un ragazzo. Non so com’è successo, è stata una cosa quasi inevitabile, il destino ci ha fatti incontrare e ha fatto in modo che i nostri percorsi si incrociassero, e poi si unissero. Proprio qui e proprio ora e… insomma, lo so che certe cose non si comunicano così, su un blog; e che la convivenza è una scelta importante, che va ponderata; e che potrebbe anche andar male. Si, sono consapevole di tutto, però è successo e…beh, non posso farci niente. E’ stata una scelta al di fuori del mio controllo, in un certo senso.

Lui è più piccolo di me, e si, lo so, lo so che gli uomini maturano dopo, ma a certe circostanze non puoi opporre resistenza. Del resto, ormai pare che i toy boys si siano intestarditi a intrufolarsi nella mia vita, e io ho deciso che le selezioni all’ingresso le lascio ai buttafuori dell’Hollywood di Milano Marittima.

Insomma, rompo gli indugi e ve lo dico: ho trovato un coinquilino!

Vabbè, ok, volevo creare un po’ di suspence, giusto per fare cappottare mia madre dalla sedia, chè nell’ultimo periodo è stata troppo serena e non vorrei mai che pensasse che sto maturando. Tranquilla, madre, ti prometto che non succederà mai, mi cascassero ora e subito tutti i peli dalle gambe.

Comunque, tra me e il mio coinquilino, lo dico a scanso di equivoci, non esiste alcuna relazione sentimentale. E vi dirò di più: dopo soli tre minuti dal nostro primo incontro ero già riuscita ad escludere con una certa, granitica sicurezza, anche la possibilità di qualsivoglia evoluzione di tipo sessuale. Neppure randomica. Neppure sotto effetto di sostanze psicotrope. Però sono sicura che ciò non ci impedirà di condividere cose molto più profonde: la bolletta del gas, per esempio.

Insomma, S. è un bravissimo ragazzo, molto inquadrato e molto gentile nei modi. Quasi quasi mi dispiace che il destino gli abbia riservato proprio me come compagna d’appartamento. Ma la vita non è mai facile, e io credo di essere arrivata nella sua proprio per temprarlo contro graffi e intemperie, oltre che per provocargli una serie di traumi inutili e gratuiti che gli bloccheranno per sempre lo sviluppo.

La prima sera che sono arrivata in casa S. mi ha mostrato con dovizia di particolari – e quando dico dovizia di particolari vorrei, per una volta, essere creduta – il funzionamento di tutti gli apparecchi elettronici presenti in casa. Che di fondo sono una lavatrice e un forno a microonde, perchè ci piace uno stile minimal. Insomma, ci ha messo una ventina di minuti per spiegarmi come si riscalda una tazza di latte: forse pensava fossi cresciuta in una steppa russa e che fossi abituata a ciucciarlo direttamente dalle mammelle dei lupi, vai a sapere. Allora sono passata subito al contrattacco e per punirlo ho deciso di saltare i convenevoli e dirgli che io sono geneticamente incapace di uscire di casa la mattina senza aver fatto la cacca, aggiungendo qualcosa del tipo “usa pure il bagno per tutto il tempo che vuoi, ma quando busso ti conviene uscire a spruzzo, altrimenti ti azzanno i polpacci a carne viva”. Adesso viviamo insieme da più di una settimana e non ha mai sgarrato. E’ una persona sveglia.

Sempre la prima sera, l’ho trovato seduto a tavola che cenava. Non sapeva che sarei arrivata a quell’ora e indossava, a detta sua, un pigiama. A me sembrava una tuta da ginnastica. Per onestà intellettuale devo dire che mi è sembrato un abbigliamento dignitosissimo, ma lui ha cominciato a farfugliare che se avesse saputo che arrivavo avrebbe indossato qualcosa di più consono, perchè il pigiama non gli pareva una cosa carina da mostrare la prima sera. Vederlo così in difficoltà ha smosso il mio spirito materno – e chi legge questo blog sa quanto sia sviluppato in me – allora per tranquillizzarlo sono andata a pescare dalla mia valigia il pigiama più agghiacciante che posseggo (non è stato difficile, come potrete immaginare) e sono tornata in cucina sventolandoglielo davanti. Credo che non dimenticherò mai lo sgomento nei suoi occhi mentre incamera l’immagine di un coniglio bianco con fiocchetto rosso su sfondo di cuoricini rosa. Ma ripeto, la vita può essere molto spiacevole a volte, ed è meglio capirlo prima possibile.

Tutto sommato S. è una persona carina: è sempre molto disponibile, è garbato e gentile, qualche volta si è offerto di cucinare per me, mi lascia usare il suo asciugacapelli, mi fa compagnia in balcone quando fumo anche se lui piglia solo freddo e non ha ancora usato il mio spazzolino per pulire il cesso, per quanto ne sappia. Ha un unico difetto. Unico, ma letale.

Il mio coinquilino, la mattina, vuole parlare. Ora, credo di averlo già scritto da qualche parte, per esempio in questo precedente post, ma per me la mattina è un momento della giornata che andrebbe proprio soppresso. Ho sempre diffidato di chi, al mattino, è scattante e carico a pallettoni per affrontare la giornata. Io la mattina regredisco a uno stato primitivo, mi esprimo a suoni gutturali, se va bene a grugniti; non mi ricordo come mi chiamo, sbatto contro le pareti. Come posso spiegarlo? Io, la mattina, non mi sveglio: risorgo.

E tu non puoi chiedermi cose e aspettarti una risposta, semplicemente perchè io non ti capisco!

Per cui, S. amico mio, se mi vedi lì davanti a te, con la tazza di caffè in mano e lo sguardo che si perde nell’intonaco della parete di fronte e non puoi trattenerti dal chiedermi che programmi ho per la giornata, sappi che io non ti risponderò. Non è per maleducazione, davvero: ma tu stai già imparando a conoscermi e sei sveglio. So che col tempo troveremo un compromesso che eviterà inutili spargimenti di sangue pazzo.

Tutto sommato però sono molto contenta del mio coinquilino: quasi spererei avesse un blog dove scrivere di me.

Perchè scrivere aiuta a scaricare le nevrosi. E solo Dio sa quante dovrà scaricarne questo poveretto.



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