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A volte sbatti contro le cose e non le senti. Non perchè non ti tocchino. Ti toccano, eccome! Solo che tu, baby - fattene una ragione - sei rincoglionita. Qualcuno avrebbe dovuto capire, ti dici. Ecco: qualcuno tipo TU.

La prima volta che lo vidi pensai che aveva il grugno simpatico. Avevo un sacco di cose per la testa, psicodrammi logistici, più che altro. Ebbi l’impressione che non mi avrebbe fatta a pezzi e nascosta in cantina. Non male, come inizio.

La prima volta che ci parlai sorrisi un casino, credo. Non avevo capito. Del resto, come potevo?

Poi ci fu la volta in cui gli chiesi se poteva prestarmi lo shampoo. Si stupì, sorrise, si indicò col dito indice la testa. Era pelato.

La volta in cui gli chiesi se poteva prestarmi l’asciugacapelli fu esattamente sette minuti più tardi. Mi guardò con condiscendenza, sorrise nuovamente, di un sorriso garbato, tipo quelli che si rivolgono ai compagnetti ritardati. Era ancora pelato, in sette minuti non ti cresce il gatto di Conte sulla crapa.

Quell’altra volta lì, il mio computer morì. Ricordo che quasi perforai la parete della cucina con una serie di bestemmie laser che lèvati. Lui reclutò per me Mr. Albume. Tre giorni più tardi, il pc era risorto. Ringraziai Mr. Albume, gli chiesi come si chiamasse veramente e lui rispose Mr. Albume. Lo guardai con ammirazione e tornai a casa sghignazzando come una bertuccia. In quel momento avrei potuto capire, ma uno che si chiama Albume, concorderete con me, ti risucchia tutta l’attenzione.

La volta in cui mi augurò la buonanotte con una citazione di Blow non fu solo una volta: fu ogni sera, prima di andare a dormire. Pioggia o sole, alle nove o alle tre del mattino, ci si incontrava, puntuali, davanti alla mia porta e lui iniziava: “Che tu possa avere sempre il vento in poppa, che il sole ti risplenda in viso e che il vento del destino ti porti in alto a danzare con le stelle…”. Qualcuno avrebbe dovuto capire.

Quando fummo avvistati giocare a pallone in salotto – ruppi il primo di una lunga serie di calici da vino in quell’occasione –  spulciarci a vicenda come i macachi del Borneo e rubare il cibo dal piatto dell’altro, qualcuno cominciò a capire, sornione. Non ero io. Nemmanco lui.

Quando una mattina trovai il caffè già macinato in cucina, avrei dovuto capire io. Ma sono bionda.

La volta in cui mi estirpò dalla gola una placca grossa quanto un pesce siluro e poi inventò una canzone demente con la chitarra per convincermi a bere un’immonda tisana allo zenzero, pure Flavia Vento avrebbe capito. E infatti, io no.

Quando baciai uno davanti a lui, ecco, lì ebbi una sensazione bizzarra, fulminea. Ma non è che, così, per caso…? Macchè, ciccia, ripigliati. Lui fu bravo a dissimulare, io sviai il discorso. Reset. Non c’è niente da capire.

La volta in cui a un concerto mi scappò la pipì, uscii dal bagno e poi mi persi. Non che ci voglia tanto, con me. Mi basta svoltare l’angolo, per dire. In  preda a una labirintite fulminante, lui mi intercettò tra la folla e mi afferrò la mano. Mi abbracciò e il resto del mondo capì.

Noi no.

Eppure, a ben vedere, gli indizi c’erano tutti.



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