Bicycle Girl, by burningmonk

Epifanie

io, Glaziella e Zio Franco

Photo: Bicycle Girl, by burningmonk

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In questi giorni cento ne penso e mille ne faccio. Tra tutte, chiaramente, non ce n’è una che si distingua per coerenza o senso logico. Mi sento sdoppiata. Mi sembra sempre di indossare un giubbotto antiproiettile, tipo. Che vabbè, ti sparano e non muori – che è già un buon inizio. Però le carezze mica le senti...

In questi giorni cento ne penso e mille ne faccio. Tra tutte, chiaramente, non ce n’è una che si distingua per coerenza o senso logico. Immagino capiti a tutti di sentirsi altalenanti, impauriti, confusi. Sdoppiati. Io mi sento sdoppiata. Sono qua, faccio cose, vedo gente. E però mentre faccio cose e vedo gente, non sono qua. Non sempre. Non come dovrei. Mi sembra sempre di indossare un giubbotto antiproiettile, tipo. Che vabbè, ti sparano e non muori – che è già un buon inizio. Però le carezze mica le senti.

In ‘sti giorni, poi, penso a tante cose, tantissime. Ma sono lampi incoerenti, idee subitanee, epifanie improvvise. Il bello delle epifanie è che per un attimo, davanti a te è tutto così platealmente disarmante nella sua semplicità che pensi: “No ma, seriously? Cioè, io per davvero mi sto spippando l’anima, la mente e il cuore per questo?”. E ti verrebbe da abbracciare il fruttivendolo che ti ha appena scaracchiato sulle scarpe perché, baby, la vita è così bella, e cosi breve, e così sticazzi e così blablabla che…

Il brutto delle epifanie, invece, è che durano solo quel momento lì. Poi puff, l’incantesimo è svanito e ti ritrovi ad un incrocio, ferma ad un semaforo (verde) a cavallo della tua Glaziella, con a fianco un cinese che ti guarda e ride. E tu lo guardi e gli fai: “Maccheccazzoteridi?”. E lui giustamente non capisce e per risposta ti guarda ancora, e ride. Che è una cosa che non ha nessun senso, ma sono sicura che con un po’ di smanettamenti cerebrali di quelli che ci piacciono tanto a noi, un senso prima o poi ce lo troviamo, nevvero?

E insomma, a parte venire fulminata di tanto in tanto come San Paolo sulla via di Damasco, adesso ho più tempo libero. Non c’è più nessuno che mi aspetta, ma soprattutto non ho più nessuno da aspettare. E’ tutto molto nuovo e come tutte le cose nuove fa paura. Ho talmente tanta vita davanti che non so da dove iniziare a vivermela. Certi giorni non ce n’è proprio, altri la piglierei a mozzichi. Bulimia dell’anima, parrebbe. In generale, sto sempre a metà tra la sciallaggine sicula e la versione cocainomane del Bianconiglio. E vado un sacco in bici.

La primavera a Shanghai è una stagione perfetta per fare dei lunghi giri in bici. Io ho notato che la bici ha un effetto terapeutico su di me. E quando parlo di me intendo me nella globalità, sebbene il mio culo sia la parte metonimica che più apprezza questo rinnovato interesse per la stagione, diciamo. Poi ho ricominciato a cantare mentre pedalo: non ancora a squarciagola, perché cantare a squarciagola te lo puoi permettere solo quando sei schifosamente felice, e io sono ancora under construction: però canticchio, che signora mia, me pare un inizio promettente.

A proposito di questo,  quando canti e tieni la musica a tutto volume in cuffia, tu la tua voce non la senti, quindi a te ti pare di canticchiartela tra te e te. E invece magari stai tenendo un concerto gratuito e non richiesto a un volume da filarmonica di Vienna al centro di un incrocio. Tu non te ne rendi mica conto, sono gli altri che soffrono: esattamente come quando sei morto, esattamente come quando sei cretino.  L’altro giorno, per esempio, io me la cantavo e questo cinese che avevo accanto mi ha guardata orripilato e si è spostato tipo cinque metri più avanti, rischiando di essere investito da un camion che trasportava uranio impoverito, pur di non stare vicino a me. Probabilmente non gli piaceva Vasco. Al contrario, una signora di mezza età ha apprezzato la mia performance in Knocking on heaven’s door e mi ha sorriso. Invece di chiamare un’ambulanza, per dire. No, perché ce l’abbiamo ben presente la versione dei Guns and Roses, si?

Poi nella mia playlist c’è anche molto Franco Battiato. Forse perché nella vita precedente ero eroinomane. Comunque, lo so che zio Franco non leggerà mai questo blog, ma io gli vorrei dire una cosa, così a cuore aperto. Zio, La Cura è una canzone meravigliosa, anzi è sublime, anzi è così irraggiungibilmente perfetta che non pare manco scritta da un essere umano. Dico davvero, non so che droghe avevate assunto tu e  Manlio pace all’anima sua, però stima. Solo che è dannosa come poche altre cose nella vita, capisci? Perché poi noi donne ci crediamo per davvero che là fuori c’è uno che ci proteggerà dalle paure delle ipocondrie, uno che ci solleverà dai dolori e dagli sbalzi d’umore, uno che  per noi supererà le correnti gravitazionali e lo spazio e la luce per non farci invecchiare, capisci?  E invece è già tanto se quello riesce ad attraversare il corridoio per pigliarci un’aspirina!

E insomma, io pedalo. Senza sapere in che direzione andare, senza sapere cose c’è dietro ‘sto curvone, senza sapere se si metterà a piovere all’improvviso o quanto ancora reggerà la camera d’aria. Con la mia Glaziella fucsia, che io le voglio bene, perché è vecchia e senza freni come una baldracca felice, però c’ha un cestino dove appoggiare le tristezze, e per un po’ si può pedalare senza portarsele sulle spalle. Soprattutto però pedalo al ritmo che dico io, con la forza delle gambe mie, con la musica che scelgo io. I ritmi li sto sperimentando tutti; prima o poi,magari,  con l’aiuto di una bella botta de culo, un ritmo costante lo trovo.

Per il resto, come cantava uno bravo, siamo come i cani. Di fronte al mare.



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