fiammiferi

Santa pazienza
e molto stupore

Breve guida pratica per 35enni smarriti


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Mi permetto in questo post di stilare una breve guida pratica sui seguenti punti, perchè ragazzi, qua si tratta proprio dei fondamentali. E sì, lo anticipo, mi vergogno a dover puntualizzare certe cacate a 35 anni, ma tant'è: santa pazienza e molto stupore.

Dunque, mettiamo n’attimo a fuoco, che è tanto che non scrivo e sono un pochetto arrugginita.

Cerchiamo un bell’incipit, una cosa che attiri immediatamente l’attenzione del lettore, una roba diretta ma al contempo – come dire – aristocratica, come nel mio stile. Ma cosa? Cosa?

Ecco, ce l’ho!

MANNAGGIALAPUTTANAAAAAAAAA!!!111!!!!1!!

Bene. Direi che rende. Allora.

L’uomo con il quale negli ultimi 3 anni ho condiviso la vita, come spesso succede a molti esemplari del suo genere, improvvisamente si è scordato come si piscia in piedi e mi ha lasciata. Anzi no, ha fatto di meglio: si è fatto lasciare, perchè troppa coerenza ci offende.

Ora, io non sono particolarmente sveglia e questo è noto ai più. Però a 35 anni – nonostante la vita non perda occasione per dimostrarmi il concetto base che non ci ho capito una fava – su duetrequattro cosine ho le idee molto chiare. Chiare al limite del nazismo, probabilmente, ma almeno qualcuno, qua, deve cercare di restare lucido.

Tra le duetrequattro cosine molto chiare, vorrei fare una breve VAR di puntata su alcuni punti, diciamo una mini guida per 35enni smarriti,  perchè ragazzi, qua si tratta proprio dei fondamentali. E ve lo dico in anticipo, mi vergogno a dover puntualizzare certe cacate a 35 anni, ma tant’è: santa pazienza e molto stupore.

Le emozioni passano, i sentimenti vanno coltivati.

A me sembra pure didascalico spiegarlo, ma da quel che sento in giro, là fuori è pieno di gente – apparentemente normodotata e socialmente inserita – che afferma che una relazione amorosa sia basata su uno sfarfallìo perenne e costante alla bocca dello stomaco. Mi assumo dunque l’ingrato compito di chiarire che effettivamente, amici miei, manco per il cazzo: se a 35 anni siete ancora convinti che amore uguale animali alati che vi svolazzano tra il colon e l’esofago, avete bisogno di uno bravo. Un veterinario bravo, dico.

Amore 2.0

Diretta conseguenza del punto appena descritto, il seguente. L’amore, in una relazione, muta. Muta continuamente, giorno dopo giorno, ed è normale così. Mi spiego? Chiarisco. E’ come quando ti crescono le tette: non ti spuntano nottetempo, è un processo graduale, ok? Io non lo so per esperienza diretta, poichè le tette – come tutti sanno – non ce le ho. Eppure, persino io sono capace di ragionare per astratto, di comprendere lucidamente che a una certa, la sorpresa, lo stupore, il battito del cuore accelerato, l’emozione del primo ti amo, il respiro mozzato, si trasformano e lasciano spazio ad una forma di amore più pacata, più tranquilla, più stabile, più faticosa forse, ma tanto più appagante, più adulta, più consapevole. Si tratta dell’amore 2.0: quello fatto di ci sono sempre, non ti abbandono, puoi contare su di me, ti conosco e sopporto che lasci i peli nel lavandino, mi conosci e sopporti che mi metta sempre quel maglione che fa i pallini, sei la mia persona, ti ho scelto e non ti cambio, perchè certo, sono un irrisolto che si fa venire le mestruazioni al cervello a cadenza trimestrale ma lo so cosa conta per davvero e cosa no. Perchè prima di te ho incontrato gente senza senso, ma non mi sono accontentato, e ammazza se abbiamo aspettato ma alla fine ce l’abbiamo fatta, ci siamo trovati, e una fortuna tale – probabilmente immeritata – va custodita in una teca d’oro come il sangue di San Gennaro, perdio.

La vita, spesso, è noiosa.

Oh, chiedo perdono, ho infranto un sogno? Scusate ma è d’uopo destarsi. Proviamoci e ripetiamolo insieme, vedrete che non è un’idea così inconcepibile, dopotutto. Io sono riuscita a fare un sacco di cose fantasmagoriche nella mia vita: ho fatto il bagno con gli squali, ho costruito rifugi nei boschi, ho dormito nelle stazioni, ho cambiato quarantordici lavori, ho visto tramonti mozzafiato in quasi tutti i continenti, ho vissuto 4 anni circondata da cinesi, cioè, levatevi tutti. Sono cresciuta, ho preso tante di quelle tranvate che solo la metà mi avrebbe dovuta lasciare più morta che viva sul ciglio di un marciapiede e invece sono rimasta in piedi, ho capito che posso fare della mia vita una poesia in ogni momento e ci sono persino riuscita. Eppure, udite udite, so concepire l’idea di tornare a casa dopo una giornata di lavoro ed accettare di avere attivamente voglia di sbracarmi sul divano e guardarmi una serie su Netflix. Tutto questo – provate ad afferrare il concetto – senza sentirmi fallita.


Siamo adulti.

Occhio, questa può far male, ma se non uccide fortifica, coraggio. Non importa quanti anni ci sentiamo dentro: Noi. Siamo. Adulti. E lo capisco che ci arrivano segnali contrastanti dalla società, che i vecchi vanno a Uomini e Donne a cercare di scopare come adolescenti decerebrati e che i dodicenni su Youtube guadagnano in pochi secondi quanto guadagneremo noi in 17 vite. Io stessa certi giorni mi sento una settenne coi denti da latte e certi altri un’ottantenne col catetere, ma ho 35. Cazzo. Di anni. E se non so nemmeno in linea teorica che cosa voglio a quest’età, ho un problema grosso grosso che devo prima riconoscere, poi accettare e infine curare. Se non lo faccio, rovino la vita mia e quella di tutti quelli che vengono a contatto con la mia minchionaggine.

 

Ciò detto, nonostante queste duetrequattro consapevolezze, non ritengo affatto di essere perfetta. Mi faccio del male, sono autocritica al limite dell’abuso, se esistesse un tribunale dell’anima mi dovrebbe togliere la custodia di me stessa e affidarla ai lupi.

Eppure, però, riesco ancora – sebbene a fatica – ad alzarmi dal letto, guardarmi allo specchio e non sputarmi in faccia. Perchè ho custodito fino alla fine tutto quello che eravamo, mentre tu, baby, iniziavi a sperperare il tuo tesoro. Mentre cominciavi, in silenzio e consapevolmente, a inflazionare la bellezza, a scialacquare la fortuna, a cannibalizzare la meraviglia. Perchè la felicità ti risulta banale, borghese, troppo facile. E poi l’aria da giovane Werther, vuoi mettere quanto fa tendenza quest’anno?

Penso alla musica che abbiamo suonato insieme e credo sia stato il concerto più esaltante della storia del panorama mondiale. Non esagero, lo sai bene. Siamo stati un duo coinvolgente, emozionante, eccezionale, straordinario. Noi due, insieme, siamo stati commoventi.

Poi, ad un certo punto, ti è stato chiesto l’assolo e non sei stato all’altezza. Ti eri scordato da solo – in ogni senso possibile – senza avvertirmi. Ti era saltata una corda e avevi messo l’autotune, per paura di fare la brutta figura col pubblico. Una malafede che nemmeno Madre Teresa potrebbe perdonarti, figuriamoci io che sono una stronza. Una stupidità che non riesco ad attribuirti, e invece, cucù, sorpresa! Io continuavo a suonare e non le sentivo, le tue note stonate. E quando è toccato a te il riff che avrebbe dovuto spaccare il culo al mondo, quello che ci avrebbe consacrati definitivamente all’empireo della musica eterna, invece di uscirtene con Sweet Child of Mine, ti è venuta fuori una versione triste, macabra, quasi trap, di November Rain.

Quando soffriamo per amore, è come se nessuno al mondo potesse capire. Come se il dolore nostro fosse l’unico, quello universale, che racchiude tutte le sfumature possibili di marcio, di gelo, di morto. Quello che racchiude in una piccola palla nera e piena di spine tutti i lutti del cosmo. Io per un tempo troppo lungo ho smesso di dormire, ho smesso di mangiare, ho smesso di ridere, di respirare e di sperare. E se me lo chiedo, davvero non me la spiego ancora la ragione di tutta questa sofferenza.

Forse un modo per salvarsi sarebbe astrarsi e osservare la vita dall’alto, guardarsi andare avanti da una distanza siderale, appollaiati su un pianeta blu e remoto e silenzioso, così lontano che tutta la pena nostra, in fondo, prova a relativizzare, non è che una scorreggia nell’universo.

Io non lo so, però tutto sommato sono consapevole del fatto che – tempo al tempo – mi passerà. Perchè sì, avrò pure perso 10 kg, ma me ne rimangono altri 45 di cervello, ironia e due palle che scusa, ti levi? Devo passare.

Tu, che ti devo dire, rimani un grande boh: uno che resta costantemente in potenza, perchè dell’atto ha una paura un po’ scema e un po’ infantile, ma capisco, le paure sono tutte così, un po’ sceme e un po’ infantili e se non te le sei tolte con me, allora buona fortuna. Un talento però te lo riconosco: quello della distruzione. Perchè per distruggere una cosa come la nostra, mio stupidissimo amore, ci voleva solo un fuoriclasse. Per cui, per me volerti male sarebbe come sparare contro la Croce Rossa, te ne sei voluto abbastanza da solo: dopotutto, hai perso me.

E magari anche sì, un giorno diventeremo anche noi una canzone dei Brunori Sas, ci riusciremo di nuovo ad andare al cinema Flora a vedere Fellini, mangiare pop corn in platea come due ragazzini, scambiarci commenti osceni e scandalizzare i vicini. Per il momento, però, ti restituisco l’augurio che mi hai fatto tu ogni sera da quando ci siamo conosciuti, con una piccola licenza che mi perdonerai: che tu possa avere sempre il vento in poppa, che il sole ti risplenda in viso e che – respectfully speaking –   il vento del destino ti porti finalmente affanculo.



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