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A 12 anni mi sono tuffata da uno scoglio alto 15 metri. Ero terrorizzata, ci ho messo una vita a decidermi, poi l'ho fatto.
Pubblicare questo post è una sensazione molto simile.

Splash.


Sono una professionista della polvere sotto il tappeto, io. Primatista mondiale, mi dovrebbero proclamare. A plebiscito universale.

Del resto, procrastinare questo è. E, per tua informazione, I’m da queen, bitch.

C’è un problema? Non prima del caffè, perdio. Alle sei di pomeriggio? Amico mio bello, si va a casa; gli straordinari non pagati li lasciamo in Italia, right? E in mezzo c’è tutta una giornata, si deve lavorare, far la spesa, dar notizie a casa che poi si preoccupano.

Ogni tanto il problema si affaccia, con discrezione: Passavo di qui, tutto ok? Si si, grazie per la visita, ti richiamo io, eh?

Ce la si fa, signora, s’ignora. Certi problemi sono entità rispettose, diamogliene atto. Prima di raggiungere le cime di insopportabilità di un gruppo di Testimoni di Geova aggrappato al citofono alle 7 del mattino, ci mettono un po’. Basta avere un po’ di predisposizione mentale e una buona preparazione atletica e si schivano con facilità, guardate me.

Alcuni problemi però, per quanto ti faccia furbo, sono più furbi di te: non si lasciano sottovalutare, non si lasciano coprire. Sono complessi, duchesse sofisticate, mica contadinotti di pianura.

E’ battaglia alla pari fino a ‘na certa, poi cominciano a giocare sporco, e porco di qua e porco di là, tira fuori bandiera bianca, che è meglio.

Oggi per esempio, è Marzo e ho ricominciato a fumare.

Rismetto, ammesso che sta cosa elettronica che mi ficco in bocca sia smettere, e non lo è.

Sono in una fase della vita in cui dovrebbe andare tutto bene, e invece no, per colpa di quello che io ho ficcato sotto il tappeto. Troppa roba. Troppa roba di quella importante. Adesso sono detriti.

Novembre è stato un mese da dimenticare, e per rancore verso di lui, mi sono voluta scordare di Dicembre, Gennaio e pure di Febbraio, poverino. Come se non gli bastasse la sfiga di avercelo corto.

Mi sono abbandonata ad uno stallo senza regole né strutture. Incomprensione, rabbia, incomprensione, incredulità, incomprensione, senso di colpa, incomprensione, delusione, incomprensione, apatia… l’ho detto incomprensione?!

Per tanti giorni ho procrasinato con una sistematicità stupefacente, ho schivato il dolore con slalom e curve che Belen, fai il favore, lè-ve-te! Ma il problema ha cambiato strategia, ha iniziato a sbucare all’improvviso proprio nei momenti in cui dovevo essere più felice. Cucù,ça va? Mavvaffanculo va! Eppure ho continuato ad accumulare e nascondere, a intossicarmi di polveri fini, perchè era la cosa più semplice, perchè tante microfitte di dolore centellinate per per mesi mi sembravano comunque meglio del dolore di un unico pugno in faccia.

Il motivo è forse futile, dunque, così futile e vigliacco che posso solo affidarmi alla clemenza della Corte.

Il fatto è che non c’è nessun tribunale a giudicarmi. Forse è solo tutto nella testa mia. Magari – tipregotipregotipregofachesiacosì – sono la solita scema che si è immaginata una storia intera senza una sola parola vera. Sarebbe bello se fosse così.

Incomprensione. Adesso finalmente mi sono permessa di capire che la mia colpa regina  è stato non capire immediatamente. Potrei spiegarlo in moltissimi modi, il nocciolo resta il fatto che sono umana. Come te,lui,lei, voi ed essi.

Ma è una faccenda dai contorni inesatti, che fatico a inquadrare per bene. Continuo a dirmi che sarebbe comica, se non fosse drammatica.

Penso che quando un’amicizia prende una botta, una botta forte, si può reagire in un milione di modi, e tutti – tutti – saranno giusti. E tuttavia sbagliati.

Penso che si possa facilmente ricorrere alla teoria dell’inevitabilità degli eventi dicendosi doveva andare così.

Penso che in situazioni del genere non debbano esistere regole scritte né dogmi, e i cateti costruiti sulle ipotenuse, francamente, possiamo pure mandarli a catafottersi lontano lontano.

Penso che quando ci si vuole bene, deludersi, a vicenda, sia fottutamente facile.

Penso che la paura della delusione – passata presente o futura – sia paralizzante.

Penso che certi spigoli non si possono arrotondare, ma che un abbraccio possa fare un mezzo miracolo.

Penso che dopo l’abbraccio ci starebbe benissimo un vaffanculo, ma con gli occhi che ridono.

Penso che si dovrebbe giocare a carte scoperte e cuori aperti.

Penso che non si possa riprendere dal punto in cui ci siamo interrotti, ma che la vita è un piano su cui giacciono infinite rette, e se i miei ricordi da scuola elementare sono esatti, una retta è formata da infiniti punti: oh, ce ne sarà pure uno più accogliente da cui cominciare.

Penso che se ci si ama, si dovrebbe – si potrebbe –  ripartire da un caffè belga.



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