Two Kiwis, by Bored Panda

Lati positivi del fare
figli

come allevare serial killer

Photo: Two Kiwis, by Bored Panda

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Forse figliare può avere ripercussioni positive sul benessere psicofisico di chi li fa. Placare seti di vendetta, risolvere sanguinose piaghe sociali o sprigionare la Montessori che è in noi. Un post opinabile sconsigliato a neogenitori, testimoni di Geova o fan(s) di Laura Pausini.

Qualche settimana fa ho preso un aereo e mi sono ritrovata seduta vicino a una mamma munita di infante. Invece di liquefarmi al primo contatto visivo con esso, mi sono ritrovata ad osservare la creatura con interesse. Un interesse scientifico et antropologico, sia chiaro, cionondimeno condito da un fattore definibile come tenerezza. Gli ho addirittura sorriso, cristodiddio. A lui e a sua madre. Seduta accanto a noi, una cinquantenne ha fatto lo stesso. Io e la cinquantenne ci siamo guardate e ci siamo, in un modo oscuro e spaventoso, capite.

Era accaduto un doppelganger inspiegabile: avevo sorriso a un neonato e mi ero intesa con una milf. Un vago senso di disagio si è impossessato della mia deliziosa personcina. Dopo pochi istanti, ho sentito un urlo di rabbia animalesca e un rumore sordo ma familiare: la ventenne che è in me aveva preso la rincorsa e si era frantumata la testa contro il muro. Ogni tanto capita.

Insomma, com’è come non è, mi sono resa conto che accadimenti di tale portata mi capitano drammaticamente più spesso negli ultimi anni. Mi fanno ancora paura, ma non mi paralizzano più dal terrore. Del resto, un sacco di gente che conosco si è riprodotta, talvolta con risultati accettabili per la civile convivenza, e uno ‘ste cose prima o poi le deve accettare.

Nel senso: a una certa, la gente figlia. E’ un concetto che ho interiorizzato, sebbene ancora a giorni alterni, sebbene con qualche rigurgito di non totalissima comprensione, ecco. Però è così, tiè.

Si accetta così come si accetta la ricrescita dei peli superflui o la forza di gravità che attira il culo verso il pavimento: deprecabile ma naturale. Dati di fatto.

Fatto a mio avviso lievemente più opinabile, magari, quello per cui una cosa larga venti centimetri e lunga cinquanta – dai contorni peraltro drammaticamente irregolari – debba uscire da un pertugio largo 3. Ma magari sono strana io.

Orbene, avere un bambino immagino sia – specie nelle fasi iniziali – terribilmente logorante. Sì, certo, è anche meraviglioso, tu non puoi capire ma ti giuro ti cambia la vita, senti le sue manine che ti stringono forte e gli occhietti che ti seguono e quando ti sorride oddioddioddio quando sorride ti sciogli perchè è così indifeso che blablabla e sti cazzi non ce li metti?

Io su queste cose non vorrei soffermarmi perchè lo sappiamo, i bambini hanno questo potere misterioso e impenetrabile che agisce sulla normale percezione della realtà facendoti apparire la sua fragrante chilata demmerda giornaliera come un delizioso muffin al cacao delle Isole Vergini. E ciò è perfettamente normale, che nessuno si senta sotto critica. Solo, penso che coi bimbi si possano svolgere attività alternative – più divertenti o ludiche (quantomeno per noi) – rispetto al lancio olimpionico del pannolino o al record mondiale di discorsi con desinenze in ino/ina.

La mia top 3 sarebbe probabilmente:

  • Ritorsioni meramente personali: mi ricordo che mentre scrivevo la mia tesi di laurea avevo una vicina di casa che ascoltava Laura Pausini, a palla, a qualsiasi ora del giorno e della notte. In tali casi, un bambino può essere di grande aiuto come controffensiva passiva; non mi spingerei al punto tale da farlo piangere di proposito, ma di necessità virtù. Un semplice amplificatore collegato alla culla solleticherebbe i miei appetiti di vendetta.
  • Problem solving sociale: nella fattispecie, insegnargli a scorreggiare a comando. Provate a immaginare quanto utile sarebbe tale funzione. Con un solo cenno del capo, pfffff, il pupo sgancerebbe una loffa clamorosa, da utilizzare solo a scopi benefici (per noi), tipo sgomberare il campo durante la fila alla posta o sbarazzarsi di un testimone di Geova per la strada.
  • Verifica del proprio metodo educativo, tramite affibiamento di soprannomi imbarazzanti. Non da piccolo, che poi ti diventa assassino, stupratore seriale o berlusconiano. Da grande, diciamo verso i 17 anni. A me per esempio, piacerebbe molto andarlo a prendere a scuola e, mentre se ne sta lì con tutti i suoi amici, chiamarlo da lontano facendo riecheggiare nell’aere un potente Mèr-do-looooo!! 

Così, senza motivo. Se l’ho tirato su bene, egli mi risponderà, sempre da lontano, con un gagliardissimo Sù-ca-looooooo! 

E lì, in quel luogo e in quel momento, sarei sicura di averlo educato come si conviene.

 

 



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