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Il sorriso
di dentro

Quando le bionde riflettono


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L’altra sera, una persona entrata da poco a far parte degli esemplari da circo che popolano la mia esistenza, mi ha detto qualcosa che mi ha fatta riflettere. Lo so, sono bionda e riflettere mi squalifica nel profondo, ma ogni tanto succede, anche quando ti opponi con tutte le tue forze.

L’altra sera, una persona entrata da poco a far parte degli esemplari da circo che popolano la mia esistenza, mi ha detto qualcosa che mi ha fatta riflettere. Lo so, sono bionda e riflettere mi squalifica nel profondo, ma ogni tanto succede, anche quando mi oppongo con tutte le mie forze.

Hai presente quando alla radio passa una canzone di Gigi D’Alessio, e tu Gigi D’Alessio lo schifi con metodo e rigore scientifico, tipo che solo solo a pensarci ti sale il rutto acido dell’alba del capodanno 1999? Ecco. Poi un giorno che hai le difese immunitarie poco poco più basse, zac! la metro di Bruxelles ti propone, quasi con scherno,  Besame y siente como suena el corazon (a dimostrazione che il civile Belgio ha ancora qualcosina da imparare) e ti ritrovi in trance, col culo che fa destrasinistradestra a tempo, e tu non lo puoi fermare, tipo battito del cuore. Poi improvvisamente torni in te e ti vergogni di una vergogna nera e potente e arcana e speri con tutta l’anima de li mortacci de Gigi che nessuno che conosci ti abbia vista manco per sbaglio.

Per dire come mi sento quando rifletto.

Comunque, questo esemplare raro che mi induce a fare ciò è il mio coinquilino, quello pelato e gentile, non quello capelluto e gentile.

Quando parliamo, io e il mio coinquilino pelato e gentile, che per comodità chiameremo “il mondo di Patty”, stiamo così: io sfrancicata sul suo divano, a forma di stella di mare (io, non il divano). Lui seduto sulla sua sedia, a circa un metro da me, con le punte delle dita unite e l’aria pensosa di colui che la sa lunga. Il suo divano è enorme, ma lui non si siede mai vicino a me. Forse puzzo, forse ha paura, forse invece mi tratta come tratta il resto delle creature che popolano la sua, di esistenza: come ‘na pazza, ecco. Egli, difatti, esercita la professione di psichiatra.

Io e il mondo di Patty abbiamo un rapporto molto bello. Io amo beffarmi di lui per qualsiasi cosa e lui, da anima nobile quale è, mi tratta come se fossi normale. Persino quando gli ho esternato con convinzione la mia teoria secondo la quale i malleoli sono ossa del ginocchio (cosa di cui, a tratti, sono ancora convinta, nonostante numerose fonti sostengano il contrario), lui si è mostrato divertito e io mi sono commossa nel percepire tutto l’impegno che ci mette per agevolare il mio reinserimento nella società. Quasi come se ci fosse ancora speranza, poveretto.

Dunque, dicevo, l’altra sera, mentre bevevamo la tisana marocchina in camera sua, si è manifestato uno di quegli istanti di amore universale in cui ci siamo detti delle cose carine (massimo due, giuro) e solo perchè ero sotto l’effetto della letale musica indiana già citata qui. Va bene, rettifico: io gli volevo dire una cosa carina, solo che come al solito mi è uscita demmerda. Lui invece mi voleva dire una cosa carina e, come suole accadere alle persone normodotate, gli è uscita carina, insomma.

“Ho l’impressione che per qualche motivo tu voglia mostrare di te un’immagine molto peggiore di quello che in realtà sei”.

Così m’ha detto. Che faccio la cinicona, la sprezzante, la beffarda.  Ma che in fondo non ci credo manco io.

Avrei potuto rispondergli un sacco di cose: che ci aveva preso in pieno, che non ci aveva preso per niente, che tanto va la gatta al lardo, che quando c’era la lira e che rivogliamo i nostri Marò.

Invece non ho risposto niente, ho evitato qualsiasi espressione, qualsiasi cenno, qualsiasi mossa, qualsiasi sguardo. Ho assunto un misto tra l’espressione della Gioconda e quella di Flavia Vento.

Però dentro, ho fatto un gran sorriso.



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