Photo: Funny-toilet, by wallpapertopics.com

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In questo periodo sono concentrata a cambiare casa. Che per un essere umano normodotato è una cosa abbastanza semplice; non esattamente per me. Tendenzialmente, ogni volta che che io penso a cambiare casa, un agente immobiliare, da qualche parte nel mondo, muore.

Cambiare è una delle mie costanti.

Marca di tabacco, band preferita, situazione sentimentale. Idea, atteggiamento, gusti.

Lavoro, città, vita.

Certe volte cambio per scelta, altre per necessità. In linea di massima, per assecondare la mia schizofrenia latente.

Paradossalmente, è stato più semplice cambiare nazione (tempistica 1 giorno) e trovare lavoro (tempistica 3 settimane) che trovare ‘na cazzo de stanza, mannaggia a li pescetti.

Ammetto che stavolta non è stata esclusivamente colpa dei cinesi pazzi, nè dell’universo in sè: un fragrante mix di…

  • mancanza di tempo (Gesummio, il mio regno in cambio di 3 minuti di pausa pranzo!)
  •  cazzoconfusaggine  da parte del potenziale padrone di casa (forse affitto, forse no, oggi sono stanco per parlare, vediamo poi, sì?)
  • Catanese attitude da parte mia – quella peculiare caratteristica che spinge chi ne è affetto a siglare qualunque tipo di accordo – sia esso una lista della spesa o i termini dell’armistizio arabo-israeliano – con una vigorosa pacca sulla spalla e bbonu cchiù…

hanno fatto sì che l’appartamento perfetto mi si polverizzasse tra le mani. Gradualmente, adagio, in un valzer trasformatosi in un delicato stillicidio, tutte le tessere si sono combinate alla perfezione nel risultato finale: io sono una grossa rincoglionita e il mio culo dovrà so(l)stare ancora per qualche tempo sul Solsta di Stefano e Julia.

In questo frangente però mi piacerebbe parlare di una speciale caratteristica di alcuni appartamenti che ho visto a Bruxelles: la camera con vista.

Vista cesso.

La scorsa settimana ho visitato una stanza in un appartamento condiviso: ho discusso in lungo e in largo i termini del contratto, ho scattato tante foto e mi sono informata sulle amenità del quartiere. Poi sono uscita dall’appartamento ma qualcosa non mi quadrava, solo che non riuscivo a capire cosa. C’è voluto un po’ (ricordo al gentile lettore che sono bionda), poi ho avuto l’illuminazione.

Per entrare in camera, si doveva passare dal cesso. Viceversa, per uscire dalla camera, si doveva passare dal cesso.

Mi sono immaginata la mia giornata tipo: mi sveglio, mi stiracchio, busso dall’interno alla porta della mia stessa camera per capire se il bagno è già occupato. Se non lo è, lo attraverso e vado a farmi un caffè. Se sì, resto sequestrata in camera fino a che il coinquilino ha finito di farsi la doccia. Quando riesco a uscire dalla mia stanza raggiungo la cucina, bevo il caffè e ripasso dal cesso per andare in camera a vestirmi. Se al coinquilino non scappa da cagare passo svelta e recupero i vestiti, se invece sta cagando resto sequestrata in cucina finchè il suo intestino non è libero dalle scorie.

Dettagli, per carità.  Che sarà mai questo rispetto alla fame nel mondo, al riscaldamento globale, alle scie chimiche, alle morti in culla, al femminicidio, al tasso di disoccupazione italiano. Quelli sì, quelli so’ problemi. Relativizzare, si dovrebbe.

Poi ho pensato a un’altra ipotesi. A un’ulteriore piaga sociale oltre a quelle già menzionate. Esiste una categoria di individui – che peraltro in uno dei momenti più bui della mia esistenza mi è capitato pure di frequentare – che fa apparire la guerra in Siria un week end gratuito in una Spa di montagna. Una categoria davanti alla quale ogni tentativo di relativizzazione diventa, ahimè, futile. La categoria dei quarantenni che si scattano i selfie in bagno.

I quarantenni. Che si scattano. i selfie(s). In bagno.

Tempo stimato? Era meglio morire da piccoli.

 

 

 

 

 

 



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