Miss Molly & Blitz, by LeBleu Pack

Two is megl'
che one

Ode alla mia botta di culo

Photo: Miss Molly & Blitz, by LeBleu Pack

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Alcuni dicono che si nasce soli e si muore soli. Che la vita è fatta di fasi, e che quando si esce da un momento negativo è solo grazie alla propria forza interiore. Tutta fuffa. Io penso che quando gira male, le persone giuste al posto giusto siano un dono divino, o più prosaicamente una botta di culo esagerata. Io ho deciso di celebrare la mia. No, non la forza interiore: la botta di culo. 'Chè a volte "Two is megl' che one".

La vita, si sa, è fatta di fasi:

Fasi ascendenti, nelle quali tutto è bello, hai appena fatto la ceretta, ti viene un’inspiegabile voglia di mangiare la frutta, sorridi alla gente per strada, il sole splende, i cuori cuorano, le stelle stellano, blablabla.

Fasi di stabilità, in cui tutto parrebbe scorrere liscio e oliato come il petto di un tronista di Uomini e Donne, sei contenta perchè ti restano duecento euro a fine mese, i peli sulle gambe rientrano in uno stato simil-umano, caghi con regolarità e ciò contribuisce a regalarti una certa serenità di fondo.

Fasi pre-mestruo, in cui mini-imprevisti quotidiani si affastellano uno sull’altro causando sbalzi d’umore tali da farti passare dal pianto singhiozzato mentre guardi Lilli e il Vagabondo acciambellata sul divano di casa tua a ferocissime fantasie di sterminio dell’umanità tutta, nel giro di pochi e fatali nanosecondi.

Fasi di profondo sconvolgimento sentimental-psichico-emotivo, nelle quali l’ansia e l’angoscia possono corrodere il tuo già traballante equilibrio mentale manco fossero baijiu tracannato a trachea viva, provocando nodi al cuore che difficilmente puoi sciogliere con la formula magica bibidi-sticazzidi-bu.

Un po’ di tempo fa, mi sono imbattuta nell’ultima fase sopra descritta: per un certo periodo della mia esistenza su questa terra, non sono esistita. Tante persone mi hanno avvicinata, mi hanno lanciato boe, ancore, scialuppe di salvataggio: tutti rifiutati. Poi, con i tempi miei – che troppo poco spesso corrispondono a quelli del mondo circostante – ho ricominciato a mangiare, a dormire, a parlare.  A respirare. Sono ritornata a galla, come solo i migliori stronzi riescono a fare così bene.

Tra quelli che non hanno mollato mai neanche un secondo (e siete stati in tanti), neanche quando sono sparita per mesi interi, neanche quando ho tagliato i ponti perfino con il mio riflesso allo specchio, neanche quando mi esprimevo a monosillabi e suoni gutturali, ci sono stati Vale e Peppe.

Vale e Peppe sono due entità apparentemente normali, ma se le conosci bene ti accorgi ben presto che nascondono un substrato di disagio mentale allarmante, altrimenti non si spiegherebbe perchè siamo così amici. Peppe era il mio compagnetto delle elementari, insieme abbiamo vissuto cinque anni di scuola dalle suore  – fattore che spiegherebbe di per sè molte cose –  che raggiungevano il culmine dell’imbarazzo ogni anno a Maggio, quando venivamo incatenati e lanciati sul palco ad esibirci in performances artistiche francamente di dubbio gusto, davanti a genitori armati di telecamera, che anni dopo ci avrebbero ricattati ad andare a Messa sotto la minaccia di “se non vieni faccio vedere a tutti i tuoi compagni di liceo come ballavi il Sirtaki a 9 anni”. Vale  invece è arrivata proprio al liceo, e da quel momento è rimasta sempre: ci siamo confidate, ci siamo picchiate, ci siamo ubriacate e vomitate addosso a vicenda, abbiamo ruttato contemporaneamente  e a tempo di musica, abbiamo montato tende scassate in campeggi improbabili. Abbiamo fatto tutto insieme, e quando dico tutto intendo proprio tutto, a parte perdere la verginità, per quanto riesca a ricordarmi. E’ una di quelle rare persone con cui basta uno sguardo per capirsi: per questo è pericolosissimo trovarsi con lei in situazioni che richiedano una certa dose di formalità, tipo i funerali. Insomma, con questi due non ho bisogno di fingere mai: del resto, conosco lei da quando, in the late 90’s e sfidando ogni senso dell’orridosfoggiavamo l’agghiacciante salopette della Onyx nella convinzione di essere fighe; e lui da quando entrambi avevamo il monociglio sulla fronte. Poi fu l’avvento della pinzetta, ma quella è un’altra storia.

Vale e Peppe stanno insieme da anni e sono una coppia bella, prima di tutto perchè sono belli singolarmente. Fanno parte di quella sparuto gruppuscolo di ormai quasi introvabili coppie che le vedi e dici: “Toh, guarda che belli”. Non fighi, non sexy, non dannatamente cool: belli! Non stanno perennemente attaccati, non si chiamano topolino e chupichupi, non ti fanno venire scariche di vomito fulminanti o accessi iperglicemici potenzialmente mortali, non ti causano attacchi epilettici quando li senti parlare di vita e progetti futuri, e quando si guardano negli occhi, dopo due secondi scoppiano a ridere, perchè nonostante mi frequentino, hanno tutti i restanti sintomi dell’intelligenza.

Loro sono belli di una bellezza discreta e luminosa. Litigano anche, vivaddio, altrimenti ti verrebbe da incaprettarli e rinchiuderli in un bunker senza cibo nè acqua per due giorni e tre notti giusto per piegarli un po’ alla normalità, ma quasi mai sui massimi sistemi. Io li ho visti evolvere negli anni, ho ascoltato i loro discorsi, li ho vissuti da vicino e da lontano e ho capito quanto vitali siano, nell’equilibrio di una coppia bella, l’ironia, la complicità, la consapevolezza. La capacità di restare sè stessi e allo stesso tempo migliorarsi a vicenda. L’intelligenza di un ingranaggio che funziona non grazie a una benedizione divina lanciata a cazzo nell’etere, ma a un progetto condiviso, che è quello che ho sempre voluto anch’io, con meno successo, credo.

Peppe e Vale sono belli e dannatamente normali. E per tale ragione possono essere anche molto, molto pericolosi. Perchè quando li guardi pensi per davvero che l’amore, qualunque cosa sia, possa esistere davvero.E ogni tanto ti sorprendi a pensare che volendo, anche tu, insomma, non dico ora e subito, ma magari più avanti, tra qualche mesetto diciamo, insomma possibilmente prima di morire e con l’aiuto di una bella botta de culo che non guasta mai, beh…perchè no? E un pensiero del genere, specie se concepito sotto Natale, concorderete con me, è potenzialmente più pericoloso di un soggiorno all inclusive all’Overlook Hotel offerto da Jack Torrance.

E insomma, ritornando ai miei amici, non ho scritto questo post perchè questi due intrepidi mi hanno presa per i capelli quando me ne stavo calando giù scarpe comprese, nè perchè mi hanno accolta a casa loro come una figlia scema, a tempo indeterminato e senza farmi sentire mai un terzo incomodo. Tantomeno perchè sono in possesso di diverse registrazioni – audio e video – che potrebbero ipoteticamente far sfociare la mia esistenza nel penale. (E quando dico penale mi riferisco, ahimè, al profilo giurisprudenziale della questione). No!

L’ho scritto perchè loro due, forse, non si sono resi pienamente conto del fatto che in un certo senso, mi hanno salvato la vita. E l’unico modo che ho per ringraziarli, visto che non so cucinare e ogni volta che tento di fare un discorso serio la butto sempre in vacca, era tentare con l’unica cosa che mi riesce meno peggio: scriverci su.

E fargli sapere che se ancora ho un barlume di speranza – speranza distorta, nevrotica e irrisolta ma sempre speranza -nella magia che si crea tra due persone che decidono di scegliersi e camminare vicini, molto lo devo a loro. Perchè mi sembrano la dimostrazione che in un’epoca fatta di monoporzioni, monolocali, monocigli e monosticazzi, a volte – poche – two is megl che one.



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