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Risvegli

Della leggerezza

Photo: dominikmartn

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Forse dovrei passare un bel panno umido sul cuore e levare lo strato di polvere accumulata; e risvegliare la spensieratezza. Vivere con leggerezza, si dovrebbe. Che la leggerezza è una cosa bella, è canticchiare, camminare saltarellando un po' così, guardare un pezzettino di cielo, oltre. La leggerezza di noi bionde ci vorrebbe, solo un po'più Marilyn e meno Flavia Vento, nei limiti del possibile. Poi ognuno fa come gli viene.

C’è stato un momento in cui ho dimenticato. Succede, certe volte. Dimenticare una luce accesa, dimenticare una caffettiera sul fuoco, dimenticare di puntare una sveglia.

Dimenticare chi sei, anche. Succede più spesso di quanto uno pensi, sai. Almeno a me.

E’ un processo graduale, insapore come l’acqua distillata, incolore come lo Xanax. Triste come la birra analcolica. Indolore pure. “Non fa male, non fa male, non fa male…”.  Hai presente quando ti crescono le tette? Ecco, io no, ma non è questo il punto. Insomma, non è che ti svegli una mattina con due marmotte grasse sul davanti, giusto? Allo stesso modo, non è all’improvviso che ti smarrisci. Cammini sempre sulla stessa strada, stesso passo, movimento automatico. Poi sbatti contro un divieto d’accesso e ti rendi conto che non sai più chi sei. Cosa ti piace. Come ci sei arrivato. Perchè, chi e quando ti ha anestetizzato. E’ quando te lo chiedi che senti la pena. Io me lo ricordo quando ho sbattuto: un ascensore a Shanghai. Meta venticinquesimo. Al decimo qualcuno entra, le porte si richiudono e allo specchio appare il riflesso di una donna vestita come me, coi capelli raccolti e spenti alla luce dei neon, le occhiaie da Nosferatu e gli occhi vuoti. Gli occhi vecchi. Gli ascensori a Shanghai vanno veloci; al tredicesimo ero già in lacrime.

Eppure c’è stato, un tempo, in cui tutto era splendore, arcobaleni negli occhi, bolle di sapone dentro al cuore, e capriole e tuffi a bomba e vento fresco sulla faccia, e faccia tostissima e vada come vada, che poi è la versione signorina di stigrancazzi, nevvero?

Forse dovrei passare un bel panno umido sul cuore e levare lo strato di polvere accumulata; e risvegliare la spensieratezza. Vivere con leggerezza, si dovrebbe. Che la leggerezza è una cosa bella, è canticchiare, camminare saltarellando un po’ così, guardare un pezzettino di cielo, oltre. La leggerezza di noi bionde ci vorrebbe, solo un po’più  Marilyn e meno Flavia Vento, nei limiti del possibile. Poi ognuno fa come gli viene.

Le mele verdi, l’odore di un quaderno nuovo, il sole, un tavolo di legno grezzo su cui scrivere per un po’, un cappello di paglia, un cane sconosciuto che ti lecca le dita,  una canna leggera, il mare, le foglie dei limoni, qualcuno che ti regala un fiore, una grigliata, baci, il latte di mandorla, un campeggio hippie, i testi di Mannarino, un falò sulla spiaggia, la tensione sessuale, l’acqua fresca con la menta, i segreti, le stelle nel cielo, ritrovare quegli occhiali da sole, una maglietta che sa di fresco, una bici, ancora baci, un po’ di raggae ma non troppo, ispirazioni, il profumo delle margherite bianche, lacrime di allegrezza, sorrisi di sconosciuti, caffè e sigarette di tabacco, confidenze di amici, i capelli pieni di sale, i gelsomini, gli occhi delle persone – tutti, con menzione speciale per quelli verdi da figlio di puttana, ma questo che je lo dico a fare signora mia – i viaggi disorganizzati, le lucciole, i papà giovani che leggono favole ai bambini, le donne incinte che risplendono, i diari del liceo, gli accendini prestati, l’abbraccio della tua migliore amica, le coppie che si amano, flirtare, le altalene di corda, i sorrisi degli occhi, le pelli abbronzate, i Radiohead, le fossette sulle guance, le sbronze cordiali, i cuori selvatici.

Gli amici storici, che sono come le mutande vecchie – che ok, sembra brutto da dire ma fìdati un attimo. Sai quelle mutande che tieni nel cassetto da anni, coi disegni di pupazzi e qualche buco di usura? Sono vecchie ma non le butteresti mai, c’hanno su i disegni dei Pokemon, non so se mi spiego, ma non le butteresti mai. Perchè sono di cotone fresco, e quel tipo di cotone lì non lo trovi più, è bruciata la fabbrica, la mappa della piantagione è volata via. E quei mutandoni non stringono e non tagliano e sì, hanno la forma perfetta del tuo culo. E c’è voluto tempo e culo, pardon fortuna, per arrivare a quella forma lì. Quindi è tutto tesoro e va custodito. Amen.

E l’indeterminatezza del poi, la trilogia de Il Padrino, la luna quando è rossa e bassa, il profumo della coccoina, gli smalti colorati, le foto in bianco e nero, il cellulare staccato, s-t-a-c-c-a-t-o, nuotare con gli occhi aperti, i colori a legno, la parmigiana, saltare. Saltare in alto senza sforzo, che a forza di, un pezzetto di luna, anche solo  per un momento, magari lo sfiori.

E i silenzi necessari, e le parole piene e rotonde e dense. E la delicatezza, la grazia del cuore, la speranza nell’amore, per quel che vale. Sempre.

Nonostante il lutto, nonostante il brutto, nonostante tutto.



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