Se non puoi ammirare un tramonto per il troppo smog… crealo!

Pechino

astenersi bonzi, gesuiti e/o euclidei

Photo: Se non puoi ammirare un tramonto per il troppo smog… crealo!

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Da un po’ di tempo mi è presa l’urgenza di viaggiare. Immagino abbia a che fare con alcuni dei recenti avvenimenti che mi si sono abbattuti tra capo e collo, fatto sta che per adesso mi prude prepotentemente il culo al pensiero di stare troppo seduta nello stesso posto. E quindi ho fatto un viaggio a Pechino.

Da un po’ di tempo mi è presa l’urgenza di viaggiare. Immagino abbia a che fare con alcuni dei recenti avvenimenti che mi si sono abbattuti tra capo e collo, fatto sta che per adesso mi prude prepotentemente il culo al pensiero di stare troppo seduta, e con seduta intendo ferma nello stesso posto, metaforico e non. E insomma, il mese scorso è stata la volta dello Zhejiang; questa volta, invece, di Pechino. Nello Zhejiang ho verificato che Sergio è capace di esistere anche senza cappello e scoperto che Stefania è una persona bella assai, nonostante legga Fabio Volo. E poi che randy in British English significa “arrapato”, e questo me l’ha detto un tizio americano di nome Randy, e io ho fatto una faccia da cazzo per tre secondi e poi sono scoppiata a ridere e lui non si è offeso, a dimostrazione che non tutti gli Americani sono ottusi. Scoop.

A Pechino ci sono andata la settimana scorsa e con me è venuto Andrea, un mio amico napoletano che vive anche lui a Shanghai. Il fatto che ogni volta che ci incontriamo ci diciamo a vicenda cose terribili, tipo “Vorrei decapitarti e giocare a bocce col tuo cranio” oppure “Non sei ancora crepato di notte rosicato dai topi?” non vuol dire che non ci stiamo simpatici. E infatti Andrea è stato un buon compagno di viaggio, se non teniamo in considerazione i seguenti comportamenti, che secondo me un Nobel per la pace per non averlo sgozzato nel sonno me lo merito, poi fate voi:

  • Andrea sente il bisogno di leggermi a tutti i costi, frase per frase le sue chat di whazzapp, tra l’altro avvenute tra lui e gente che nemmeno conosco (sticazzi alla potenza, per dire), nonostante i miei inequivocabili e ripetuti “Non me ne frega un cazzo, smettila, basta, devi morire male!”
  • Andrea dorme con la mascherina, di notte digrigna i denti, indossa delle mutande di cotone bianco antiestetiche e antistupro e in un’occasione si è messo la polo dentro ai jeans; e lo sanno tutti che ogni volta che un uomo si mette la polo dentro ai jeans un fashion designer, a Milano, muore.
  • Andrea ha l’appetito di un’orca assassina, ma soprattutto deve soddisfarlo tassativamente ogni 75 minuti, alla stregua dei neonati. Se la poppata non avviene lui diventa acido, parla dei cinesi in termini che farebbero rabbrividire il mostro di Rostov e ti augura che ti venga la candida. Cioè si comporta esattamente come quando non ha fame, ora che ci penso.

Comunque, nonostante la fastidiosa presenza di Andrea, la mia urgenza di viaggio è stata placata per un po’. Dopo tre anni e mezzo in Cina, finalmente sono riuscita a vedere la capitale, ad arrampicarmi sulla Grande Muraglia e a mangiare la bing, che è una specie di pane rotondo buonissimo e frittissimo che a Shanghai si trova pure, ma non è la stessa cosa.

Poi il fato, forse per bilanciare la serie di sfighe cosmiche che si stanno abbattendo sulla mia psiche già tristemente segnata dalla demenza, è stato particolarmente benevolo, regalando alla mia trasferta pechinese 3 giorni di sole, caldo e PM2.5 sotto i 90, cosa che a detta di tutti quelli che ci sono stati prima di me, ha del fantascientifico. Ho visto dei posti molto belli, mi sono addentrata nei labirinti degli hutong, ho scattato una foto col faccione di Mao a Tiananmen,  ho visto donne inerpicarsi sulla muraglia indossando zeppe da 12 centimetri e vestitini da prima comunione a tipo 45 anni. Soprattutto ho pensato una cosa molto brillante e profonda, che potremmo tradurre a parole pressappoco così: “Carusi, ma siti quantu a briscula!”, cioè siete troppi, basta, veramente, datevi una calmata. Quanto avrei voluto vedere tutti quei luoghi in religioso silenzio, senza anima viva intorno. Questo pensiero mi ha accompagnata per tutto il tempo, ma si è fatto Verbo quando, morta di fatica dalla scalata, ho raggiunto finalmente uno dei torrioni della muraglia e ci ho trovato un pirla cinese con la radiolina portatile che spandeva musica tecno. Tecno cinese. Sulla muraglia. Non so se mi spiego. Allora l’ho guardato. Lui ha spento.

Per fortuna la rabbia mi è passata subito appena mi sono voltata e ho scorto lei. Penso di averle voluto bene per qualche secondo, anche.

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Penso che se tutto va bene nel mio futuro ci saranno ancora tanti viaggi. Penso che alcuni saranno brevi, altri dureranno di più. Penso che tutti quelli che dicono che l’importante non è la meta ma il percorso, lo dicono perché la meta ce l’hanno ben chiara, e quando è così è facile fare lo splendido, che a fare la filosofia della cippa siamo bravi tutti. Penso anche che le probabilità che il mio viaggio continui in solitaria siano altissime, e a questo, beh, devo ancora farci l’abitudine. Penso che se ci penso troppo, a questa cosa qua, mi si scuce lentamente il cuore e mi piglia una di quelle tristezze grasse e appiccicose che signora mia, che glielo dico a fare.

E quindi forse la cosa migliore sarebbe non pensarci, mettersi un paio di scarpe vecchie e comode e concentrarsi solo sulla strada. E sul fatto, paradossale e però cristallino, che è proprio quando cammini da solo che sei costretto a uscire dalla tua zona di sicurezza. E’ in quel momento, forse, che ti riesce più naturale aprire le orecchie, e gli occhi, e le mani e il cuore alle altre persone, sederti su una panchina ad ascoltare storie nuove, prestare più attenzione alle cose piccole, aprirti alle possibilità.

Sorridere agli sconosciuti, magari.



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