flickrhivemind.net

Parrucchieri

le dimensioni contano

Photo: flickrhivemind.net

Sidebar

In Italia ho sempre guardato con sospetto i parrucchieri. Sin da piccola ho portato i capelli a maddalena, a parte una breve parentesi in prima liceo, quando decisi - probabilmente sotto l’influsso di LSD messomi nel bicchiere da mia madre - di tagliarmi i capelli cortissimi. Poi sono arrivata in Cina e la mia vita ha preso...tutta un'altra piega.

In Italia non ho mai avuto molto a che fare con i parrucchieri. Sin da piccola ho sempre portato i capelli a maddalena, a parte una breve parentesi in prima liceo, quando decisi – probabilmente sotto influsso di LSD messomi nel bicchiere da mia madre – di tagliarmi i capelli cortissimi. Ne fui felice per un giorno, cosa di per sé assai bizzarra, visto che in precedenza tutte le mie gite dal parrucchiere finivano tra fiumi di lacrime e promesse di vendette future, su di lui e sulla sua progenie. Quella volta invece, pur non essendo propriamente in estasi, mi sembrava di aver fatto una buona cosa, di aver cambiato stile, di aver dato un tocco di novità alla mia vita.

Fino  al giorno successivo, quando, arrivata in classe la mia compagna di banco mi aveva guardata pregna di pietà e compassione cristiana e aveva esclamato, senza nemmeno darmi il tempo di fiatare: “Oh mio Dio, che ti è successo? Vabbè dai, non ti preoccupare, che tanto ricrescono”. Ci rimasi malissimo, tanto che per i successivi tredici anni l’unica cosa che mi limitai a fare coi miei capelli fu lavarli.

Finchè a Shanghai, un bel giorno di primavera, spinta dall’impulso irrefrenabile di dare una svolta alla mia esistenza, non decisi di dare un taglio netto al mio beneamato parrucchino folto lungo e biondo.

La prima volta a Shanghai fu con Steven. Steven fu molto delicato, ascoltò tutti i miei dubbi dell’ultimo minuto con aria comprensiva e quando taglio di netto tre quarti della lunghezza mi sembrò commosso. Ci mancava che mi chiedesse “ti ho fatto male?”, non so se mi spiego. Era molto sensibile, pur non essendo finocchia per niente. Il mio cinese a quei tempi non mi permetteva una comunicazione fluida, perciò ogni volta che tornavo da lui mi portavo appresso una serie di fotografie di vario divame holliwoodiano, così non correva il rischio di rasarmi a palla da biliardo o tingermi i capelli di azzurro puffo.

E così entrai nella schiavitù-dipendenza da parrucchiere. Quella cui tutte noi cadiamo un secondo dopo il primo zac di forbici, quella che almeno una volta al mese ci fa svegliare nel cuore della notte con la fronte imperlata di sudore, urlando: “Devo sistemare il taglio!!” Quel taglio che fino a 24 ore prima era perfetto, e che improvvisamente, nel giro di pochi attimi, non ha più un senso, cazzo.

Un giorno però Steven sparì. Forse fu licenziato, forse cambiò città, forse fu arrestato. I suoi colleghi mi dissero che quel giorno era di riposo, ma è già passato più di un anno, quindi doveva essere molto stanco, immagino. Comunque, al suo posto trovai Nico. Nico è un tipo diverso: intanto assomiglia preciso sputato a un amico mio siculo, ma così uguale che mi viene da chiamarlo Sebastiano. E poi ha una parlantina inesauribile, che ha il potere di rincoglionirti e non farti pensare a quanto stia effettivamente tagliando: cioè tantissimo. Nonostante faccia parte della categoria di parrucchieri che più aborro, cioè quella che finge di ascoltare le tue richieste e poi fa di testa completamente sua, mi è molto simpatico, specialmente da quando il mio cinese è migliorato.

Oggi in particolare, mi sono sentita molto felice di aver imparato a comunicare nella lingua del demonio, perché ho potuto fare quello che avrei fatto con un parrucchiere italico, e cioè:

  •  Lamentarmi del fido G., col quale la sera prima si era verificato un litigio epico, di quelli che al parrucchiere, per legge, glieli devi raccontare
  • Parlare con Nico della sua nuova fidanzata svedese (una ragazza coraggiosa, va detto) con ausilio fotografico dei due seminudi, che in uno slancio di cavalleria Nico ha voluto mostrarmi a tutti i costi, sebbene io, parlando con sincerità, ne avrei potuto fare a meno volentieri.
  • Analizzare con dovizia di particolari  le principali differenze tra peni europei e peni cinesi.

La cosa che però, tra tutte, mi ha dato più soddisfazione è stata quando gli altri parrucchieri, dopo un attimo di esitazione iniziale, hanno deciso di farsi avanti e di dirmi che loro, pure se erano cinesi, ce l’avevano grosso così, indicandone le misure a gesti: lunghezza, larghezza e profondità, in 3D diciamo. Però secondo me c’era qualcosa che non quadrava del tutto, perchè certe dimensioni sono giustificabili solo se stai parlando di Rocco, oppure di un filetto di carne di cavallo, ecco.

Allora a quel punto io gli ho chiesto di farmelo vedere, perchè va bene la fantasia, per carità, ma quando la cosa si fa fantascientifica bisogna anche mettere un freno. E loro mi hanno risposto: “portami una tua amica”. Che è l’equivalente siculo di “pòttimi a tto soru*”

E io lì ho sghignazzato moltissimo.

 

*pòttimi a tto soru, lett. portami tua sorella.



 Condividi 

Non ne hai avuto ancora abbastanza ?

Abbattimi con un commento!