Dear Photograph - Take a picture of a picture, from the past, in the present.

Quello che ho
vince

quegli assi pigliatutto

Photo: Dear Photograph - Take a picture of a picture, from the past, in the present.

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Non credo di essere capace di scrivere un'introduzione al post, stavolta. E comunque non credo sia importante. Ciò che importa è che questo post raccolga dei testimoni pronti a giurare che ho detto queste cose. Testimoni pronti a ricordarmele, la prossima volta che mi sentirò sola, persa, infelice o lontana.

Che il tempo, nelle nostre percezioni, scorra a velocità diverse a seconda di quello che facciamo è chiaro: un’ora di ceretta all’inguine di sicuro è più lunga che un’ora di sbraco sul divano mentre un massaggiatore cubano si occupa dei tuoi, ehm, piedi. Il tempo però può passare a velocità diverse a seconda del luogo in cui ci troviamo: io per esempio, sono rimasta tre settimane in Sicilia. Oggettivamente tre settimane non sono tante, eppure adesso che sono tornata a Shanghai, mi sento come se fossero passati 3 mesi. Le prime conseguenze del fenomeno sono state le seguenti: nel giro di appena tre settimane mi sono scordata quanto tempo ci metto ad arrivare a lavoro, quindi ho puntato la sveglia a un orario forfettario – dimentica in un baleno della routine di un anno –  arrivando con mezz’ora di ritardo. Mi sono scordata dove tengo le maglie a maniche lunghe a casa mia, quanto potenti possano essere le scorregge cinesi e financo la direzione della metro. Cioè, scesa dal treno mi sono lanciata a destra e ho proseguito come un panzer per circa 50 metri, poi ho capito che andavo nel senso sbagliato. Per un attimo ho anche pensato che in tre settimane avessero cambiato non solo l’ordine delle uscite, ma pure la direzione di tutti i treni. Per farmi uno scherzo, tipo. Poi mi sono resa conto che arrivata sul pianerottolo di casa mia –  la sera prima –  avevo fatto la stessa cosa, lanciandomi con disinvoltura a destra e infilando la chiave in una toppa sconosciuta, perciò forse il problema sta dentro di me, tipo nel cervello.

Insomma, a parte la sensazione di aver trascorso dei mesi in Sicilia, il rientro a Shanghai è stato meno traumatico del previsto. Ho pianto solo l’intera giornata della partenza, ma di un pianto diverso dallo scorso anno. Era un pianto nostalgico, non disperato. E poi, il giorno dopo c’era il sole, l’inquinamento era a livelli accettabili – asiaticamente parlando –  e nonostante il jet lag ho deciso di seguire il consiglio di una persona a cui voglio molto bene: allora mi sono truccata e vestita che quasi quasi parevo femmina – perché cazzona sì, ma con stile, e quindi almeno a lavoro, le UGG, no – ho messo gli auricolari sparandomi “Sweet child of mine” a palla e con una sensazione di freschezza ed energia molto yeaaah, sono uscita di casa carica a pallettoni. Dopo 5 metri ho pestato una merda, ma questo è secondario, diciamo. Quel che conta davvero è che finalmente ci sono arrivata. Forse ci ho messo un po’ troppo, forse spesso me lo dimentico, ma la verità è che sto facendo un’esperienza che la gran parte delle persone che conosco non ha mai fatto e mai farà, e invece di crogiolarmi nell’inquietudine e nella malinconia, probabilmente sarebbe meglio usare quell’energia per costruire delle cose. Perché comunque vadano, le cose, quello che ho io non ce l’hanno in molti: io ho Z., che fa passare mesi per rispondere a un’e-mail ma quando hai un problema vero lo chiami e c’è, sempre; io ho C., che qualunque cosa si metta addosso le sta bene, adesso che è una S ma anche quando sarà una XL; io ho V., l’unica persona capace di ridere per ore senza emettere un suono e che mi capisce pure se sono io a non emetterne uno; io ho D., che ci ha messo tanto tempo a realizzare che è la sua vita che è più importante di tutto, e adesso ha gli occhi che ridono; io ho C. che pur di farmi conoscere la sua bimba ha deciso di partorire un mese prima (vabbè, è così che mi piace pensarla);  io ho P., che è un bocciolo raro e fortunata chi se l’è pigliato; io ho J., che non solo è bella come nessun’altra, ma è pure sperta, e si fa crescere ossa nuove sulle gambe solo per me; io ho S., che mi ha dato il coraggio per scrivere certe cose e con la sua ironia mi fa cappottare dalle sedie ogni singola volta. Ho voi ma ho anche E., G., C., e tutti quelli che non ho visto o che quest’anno hanno deciso di rimanere lontani da me, in più di un senso e forse a ragione. Spesso non sono riuscita a passare tutto il tempo che avrei voluto con alcuni tra di voi, e di questo mi dispiace, la verità. Ma soprattutto, tra quello che ho, c’è una gatta bellissima dagli occhi blu che, come ogni femmina che si rispetti, fa la vamp. E una mamma di una bellezza, una forza e una dignità che se solo io ne avessi la metà, camperei di rendita per tutta la vita. E se ho la fortuna di avere tutto questo, potrò ben vivere per un altro po’ senza le mie paste di mandorla. No?



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