gufo

Il trimestre
premestruale

a volte ritornano

Photo: Angry Burrowing Owl Cape Coral, Florida - by Megan Lorenz

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La maggior parte delle volte, durante questo periodo non accade nulla di cataclismatico in sè, tuttavia anche un contrattempo banalotto può abbattersi sulla nostra psiche con la forza di uno tsunami, trasformandoci in replicanti di Giacomo Leopardi, spingendoci a fuggire l’altrui sguardo quasi avessimo le fattezze di Giuliano Ferrara e a rispondere ai richiami del mondo esterno con suoni gutturali, grugniti e raffiche di vaffanculi, nell’aere sparsi.

Sono sicura che capita a tutti. Secondo me ognuno di noi ha il proprio periodo criptonite durante l’anno: in quel periodo lì – che può durare da poche settimane a qualche mese nei casi più gravi, tipo il mio –  i pianeti sembrano allinearsi contro di noi, i pensieri si coprono di una pellicola grigiastra e appiccicosa e tutto assume i contorni di una tragedia greca, compresa la fila al supermercato. La maggior parte delle volte, durante il periodo criptonite non accade nulla di cataclismatico in sè, tuttavia anche un contrattempo banalotto può abbattersi sulla nostra psiche con la forza di uno tsunami, trasformandoci in replicanti di Giacomo Leopardi, spingendoci a fuggire l’altrui sguardo quasi avessimo le fattezze di Giuliano Ferrara e a rispondere ai richiami del mondo esterno con suoni gutturali, grugniti e raffiche di vaffanculi, nell’aere sparsi.

A me per esempio, il periodo criptonite mi viene di solito da metà ottobre a inizio dicembre. Solo che in questo intervallo cade anche il mio compleanno, ragion per cui tutti i sintomi si acuiscono, così che dalla tutto sommato blanda fase criptonite si passi direttamente alla spaventosa fase trimestre premestruale, che è pressappoco un misto tra:

  • “Lasciatemi morire sola tra le mie feci in questo letto di dolore” e
  • ”Perché non vuoi stare un po’ con me? Solo perché ho minacciato di strapparti gli organi interni e bere il tuo sangue nelle notti di plenilunio? Mpf, mezza sega”.

Il motivo scatenante del trimestre premestruale, nel mio caso si può giustificare con una frase tipo “mi manca casa”, anche se dietro a quello c’è anche altro, per esempio il fatto che sono una squilibrata. Comunque, non è che per tutto il resto dell’anno non mi manchi casa mia, eh? Ma tutto sommato è tollerabile: non mi stordisco di canzoni folkloristiche, non mi taglio le braccia, non ammazzo le vecchie. Per esempio, riesco a superare quasi indenne persino l’estate. Io, d’estate, me ne sto tranquilla qui a Shanghai, a sudare e bestemmiare sottovoce, e aspetto: voi non mi vedete ma io aspetto, aspetto e aspetto ancora, finchè l’ultima carogna tra voi non avrà finito di pubblicare sui social networks l’ultima stronzissima foto di un tramonto sul mare, di una festa in piscina, di un falò sulla spiaggia. Me ne sto qui, al fresco elettronico della metropolitana a meditare, a masticare bucce di rancore e a fantasticare vendette sulla vostra stirpe, ma mai lo giuro, mai mi sono abbandonata ad autentici riti vudù contro nessuno di voi, perché tutto sommato sono una persona ragionevole.

Ma ottobre è un mese diverso, perché ad ottobre io compro il mio biglietto per tornare a casa. E una volta che compri il biglietto – tutti quelli che stanno fuori lo sanno – il tempo non passa più alla stessa velocità. Una volta che hai comprato il biglietto per casa, pure se non lo hai ancora stampato, se non lo puoi toccare con le mani tue, tu lo senti, ne percepisci l’energia. E il tempo si di…la…ta, si al…lun…ga come le gomme da masticare quando ci fai i giochi vastasi, fiuuuuuu, così. E succede che ti piglia la smania e non puoi aspettare più, e più non puoi aspettare e più non ti passa mai. Tipo al primo appuntamento, che inizi a prepararti alle due del pomeriggio, alle due e mezza sei già pronta e le sette non arrivano mai. E tu che oramai hai fatto l’abitudine a stare con un piede in un mondo e un piede nell’altro, da quel momento in poi percepisci quasi fisicamente che per qualche inspiegabile sortilegio, invece di avvicinarsi  questi due mondi si distanziano ogni giorno di più, e tu, a cavallo tra i due,  ti ritrovi con le gambe aperte e tese e i tendini che ti bruciano di dolore. Passasse Rocco Siffredi nei paraggi sarebbe proprio un attimo, dici. Poi, gradualmente, due settimane prima del ritorno a casa i valori tornano nella norma, la smania si ridimensiona, i due mondi si riavvicinano.

Ed è già dicembre, e pensi che è solo questione di giorni e all’aeroporto saranno sorrisi, e abbracci, e mamma me l’hai preparata la parmigiana, e amici fratelli, e pacche sulle spalle e vaffanculi scherzosi, e dammi la valigia che è troppo pesante, e c’ho sonno e troppa adrenalina, e come sta pavellina, e finalmente odore di mare che lo sento già, e quando riparti stronza, e dammi almeno il tempo d’arrivare eccheccazzo, e sei di nuovo qui stronza.

Si, sono di nuovo qui, nonostante la mera esistenza della Santanchè sia un ottimo motivo per andarsene per sempre, nonostante Pomeriggio Cinque in tv, nonostante la disoccupazione al millemila percento, nonostante le canzoni di Anna Tatangelo, nonostante la nuova Forza Italia, nonostante Renzi a capo del PD, nonostante TG2 Costume e Società, dio buono. Come una stronza ritorno, perché sono innamorata pazza dell’Italia, nonostante l’Italia non mi si fili di pezza. Ma del resto, io l’ho sempre saputo che gli amori più grandi sono sempre quelli non corrisposti.



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