malata

Nel nome del
pollo

Il giorno che contrassi l'aviaria, si, certo.


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L'influenza dei polli era tornata a mietere vittime in quel di Shanghai, eletta da un destino beffardo nuovo focolaio del virus. E' in momenti come questo che il passaggio da un raffreddore al testamento diventa più breve di quanto vorresti. Di ipocondria, piume e profondo disagio mentale.

Poco tempo fa, dopo un periodo di quiete dopo la tempesta, a Shanghai i polli hanno ricominciato a far notizia. Più che notizia, hanno ricominciato a mietere vittime tra i cinesi, sterminandone addirittura, rullo di tamburi, 9!!

A parte la rottura di pollo di dover scartare il mc chicken dal mio junk menù settimanale, lo stupore più grande mi è scattato dal fatto che i cinesi si sono accorti che ben 9 dei loro siano morti. In realtà infatti, la notizia è proprio  questa (e non il fatto che sia ritornata l’influenza aviaria in Cina; con focolaio proprio a Shanghai, tra l’altro, perché a noi ci piace il rischio).

Insomma, proprio nel momento in cui:

  • il governo ha chiuso il mercato del pollame di Shanghai e fatto la festa a tutti i polli che ci stavano dentro
  • la gente ha ricominciato a girare per strada con la mascherina (non accadeva dall’esplosione della centrale nucleare in Giappone)
  • i commessi nei supermercati, le ali di pollo te le tirano dietro come il riso ai matrimoni
  • e per finire, nel momento in cui anche i cinesi meno illuminati hanno iniziato a pensare che forse, lavarsi le mani dopo aver fatto pipì potrebbe non essere lesivo per il proprio onore,

io mi faccio venire il raffreddore.

Per qualche motivo, però, invece di accettare con rassegnazione il lieve malanno stagionale, mi convinco, per le due ore più lunghe della mia vita, di aver contratto l’influenza dei polli.

Tutto inizia da una conversazione con il mio capo, che ricordiamolo, è un cinese parlante cinese (e basta). Siccome:

1) il mio capo usa solo vocaboli che io posso comprendere, e io rispondo utilizzando quei pochi che conosco più una serie di onomatopee e parafrasi per quelli che non conosco, e

2) probabilmente un buon 40% della conversazione se ne va a puttane, perché ognuno dei due dà un’interpretazione dettata dal proprio personale disagio mentale,

ogni dialogo acquista più o meno lo spessore culturale di una puntata di Uomini&Donne. Come il seguente, che riporto fedelmente per come l’ho interpretato io:

Capo: “Stamattina come va?”

Io: ”Mmmhh..così così. Ho un po’ di qui (tocco la gola) male e cough cough (colpetti di tosse mimici)”

C: “Ooh! Mmmhh…hai mangiato carne di pollo?”

Io: “Ahahah” (pensavo fosse una battuta e quindi ho riso; cioè, chi si sognerebbe di mangiare pollo adesso? Non lo era, ma lo scoprirò solo tra un po’)

C: “Tante persone mangiano pollo, poi malate”

Io: “Io non mangiato pollo, pollo molto pericoloso, io so. Tempo freddo, io malata”

C: “Tu bere tanta acqua calda. Io ora ti do medicina cinese, aiuta”

E mi smolla lì due bustine contenenti una polverina marrone che, incurante di tutto, mi sparo a garganella. Dopo averlo ringraziato, ci rimettiamo entrambi al computer. Io rispondo a una mail, lui sta cercando i sintomi dell’aviaria su internet, come intuirò dalla sua successiva domanda:

C: “ tu perdi acqua?”

Io: “in che…senso?!”

C: (aiutato da Google Translate) “Tu ora sudi?”

Io: “No, io ora non sudo. Io ora freddo e cough cough

C: (leggermente sollevato) “tu a casa hai termometro? Tu arrivi a casa stasera, misuri temperatura. Se febbre c’è, tu vai all’ospedale molto veloce”

Io: “io non sento febbre, non mangiato pollo. Non ho pollo-febbre (la mia faccia, tuttavia, deve aver tradito qualche emozione perché il capo va avanti)

C: “Tu…tu paura di pollo-febbre?”

Io: “Tante persone morte (mi schianto sulla scrivania per mimare la morte, perché non so come si dice in cinese)

“C: Tante persone morte perche in ospedale andate troppo tardi. Tu, se febbre c’è’, vai in ospedale stasera. Loro check you (inglese: alleluia!!!) poi tu aspetti pochi giorni, poi tu sai se hai pollo-febbre”. E subito dopo: “Se tu vai ospedale stasera, tu non muori. Se vai in ospedale lunedi, tu, forse, muori”

Adesso, io lo so che la lingua del demonio non ci aiuta, e che in una conversazione normale il tutto sarebbe banalmente suonato come “meglio prevenire che curare” o “non perdere tempo”, ma se mi dici che lunedì, forse, muoio, pure se è una parafrasi semplificata, permetti che un po’ mi cago in mano?

E così, come nei migliori cinema, ho iniziato a sentire molto freddo, a tremare, sudacchiare,  tossire nervoso, avere mal di testa, nausea, difficoltà respiratorie e tachicardia; poi ho sentito che mi stavano spuntando le piume sotto le ascelle, e i capelli mi si sono drizzati in testa a mo’ di cresta. Quando il capo mi ha chiesto che ora è e ho risposto “non disturbare, sto covando”,  ho pensato che la mia ora era arrivata.

Poi, verso le quattro di pomeriggio, due ore prima del normale, ho sentito le parole magiche: xiaban, huijia, ni bing le.

Stacca, vai a casa, tu malata. “Brutta merda di pecora”, avrei aggiunto io se fossi stata nei panni del mio capo, ma lui è troppo gentile per essere me. Quindi ho raccolto i miei miseri averi, ho ringraziato della misericordia accordatami e ho trascinato le mie membra martoriate dalla malattia fuori dall’ufficio.

Arrivata a casa, ho preso il coraggio a due mani e  mi sono misurata la febbre: niente. Probabilmente lunedì sarò ancora viva.

Coccodè!



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