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Italia - Francia:
una storia d'amore

La testata gliela doveva tirare Materazzi


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Mo' non è che tutti i francesi sono antipatici. Alcuni, per esempio, sono pure insopportabili. In ogni caso, assodato che "la matematica non sarà mai il mio mestiere", mi sa che nemmeno la carriera diplomatica fa proprio al caso mio.

Lo scenario è il seguente: un cliente francese si rivolge alla mia azienda per ottenere un dato servizio. Siccome la mia azienda fornisce il servizio, il mio capo prende appuntamento col bisnipote del Conte De La Baguette e mi scarica la patata bollente, con la scusa che tra voi europei vi capite meglio.

Per il cinese di base – perdonate la piccola parentesi – noi bianchi siamo tutti uguali, parliamo tutti la stessa lingua primitiva, veniamo da un posto non troppo identificabile geograficamente chiamato occidente e abbiamo tutti il naso lungo. Il mio capo, che è un cinese illuminato, è a conoscenza che in occidente esiste un’entità chiamata Europa, e che tale entità è formata da alcuni piccoli appezzamenti di terra dove si parlano lingue diverse, cosa che è già un buon inizio.  Nutro qualche dubbio sul fatto che sappia dell’esistenza della Bulgaria, ma del resto, per quale motivo dovrebbe conoscere la Bulgaria? (ammesso che esista davvero?)

Di sicuro, però, il mio capo non ha la minima contezza di quanto sia moralmente, eticamente e pure biblicamente scorretto affibbiarmi un cliente francese, specialmente sapendo che con i francesi ci devo lottare contro giornalmente a casa. Ma non gliene farò di certo una colpa: del resto, esistono anche dei francesi gentili nel mondo, sparsi a macchia di leopardo e perlopiù al di fuori di Parigi, (ne ho testimonianza diretta) e magari oggi mi va di culo.

Per cui, scansando con vigore ogni meschino pregiudizio, mi predispongo all’incontro con l’animo sereno e limpido della cresimanda.

Il cliente varca la soglia dell’ufficio con lo sguardo fisso sul suo telefonino: non saluta, non sorride, non si presenta. Io invece lo saluto e gli sfodero subito il sorriso delle occasioni. Purtroppo però lui non si abbassa a questi manierismi, restando concentrato sullo schermo del suo I-phone. Sono sicura che non lo fa apposta: potrebbe essere sordomuto, avere il torcicollo oppure essere rimasto vittima di un potentissimo maleficio Sumero che gli impedisce di incontrare lo sguardo di altri esseri umani, specie di avvenenti ragazze come me. Se lo facesse potrebbe morire sul colpo, fulminato dalla divinità pagana della simpatia! E nessuno qui vuole che un francese, specie così portato alla socialità, lasci questo mondo prematuramente.

Al posto del cliente, risponde la sua assistente cinese, baffuta ma gentile. Iniziamo il nostro meeting in inglese, perché a rigor di logica, visto che non hai aperto bocca, io sono pienamente giustificata a non sapere da dove cazzo vieni. Il mio capo, però, siccome mi vuole molto bene, mi sputtana subito dicendo che parlo francese, così l’incontro può prendere subito la piega che merita. Infatti, il cliente si scioglie improvvisamente, e sollevato dal fatto di poter parlare la sua lingua, sfodera una loquacità quasi incontenibile, arrivando persino a informarmi del perché è venuto in ufficio! (ma dimenticandosi ancora di rivelarmi il suo nome: forse è un agente segreto).

“E tu da dove vieni?” mi chiede ad un tratto, contenendo a stento la sua logorrea. Sono talmente spiazzata che stia aprendo bocca che per qualche secondo mi guardo intorno spaesata cercando di capire da dove provenga la voce. A quel punto, gonfia come il culo del pavone, gli rispondo che sono siciliana.

E lui si richiude nel suo mutismo, dal quale esce solo per cazziare la povera assistente – francamente rincoglionita – che chiede continuamente spiegazioni su tutto. A un certo punto, stanco delle richieste di chiarimento della poveretta, la tacita bruscamente per l’ennesima volta e poi, rivolto a me: “Senti, non le dare retta, questa non ha capito niente. Io invece ho capito tutto ma non me ne frega niente di fare le cose precise. Si può fare una cosa all’italiana?”

“Cosa intende, esattamente, per una cosa all’Italiana?” mi ritrovo a rispondere con lentezza e autocontrollo di cui mi sorprendo.

“Beh, una scappatoia, come fate voi”

“Ahahah, voi francesi mi fate morire” me ne esco con una disinvoltura da Oscar. Potrei fermarmi lì, potrei riuscirci. Ovviamente non ci riesco: “Non capisco com’è che tutti vi considerano così arroganti, brutte cose gli stereotipi”

E poi tutto finisce. Uno a uno. Ora, non è che tu – spregevole cazzone transalpino – abbia tutti i torti. Il fatto è che non ti puoi permettere di dirmi certe cose. Io lo posso fare. Io.

Io del mio paese posso dire peste e corna, mi posso lamentare, lo posso criticare ferocemente, lo posso maledire e ci posso smadonnare su quanto mi pare e piace. Io. E infatti lo faccio, ogni volta che me ne dà l’occasione, cioè spessissimo.

Tu non puoi. E basta. Non te lo puoi permettere perché insultare il paese di un altro è come insultargli la mamma o il papà. Io per esempio, di mio padre non sopporto un sacco di cose, e ci sono stati momenti in cui gliene ho dette di ogni, con una collera che per lunghissimo tempo non ho saputo dosare. Ma nel momento in cui lo faceva qualcun altro, seppure velatamente, io me la prendevo tantissimo.

Non so se è normale, ma è così. E se il mio paese è mio padre, allora lo posso mandare affanculo solo io. Io e basta.

E il cliente avrà pure ragione sempre, ma ogni tanto un bella testata in fronte dovrebbe essere, non solo tollerata dalla legge, ma pure incoraggiata. Tiè.

Con l’accento sulla finale, che fa più chic.



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