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Prove tecniche
di coerenza

missione fallita


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A volte, quando pensi che niente abbia un senso, quando ti approcci alla vita con la placida rassegnazione delle vacche indù, basta una macchinetta del caffè espresso e tutto riacquista un significato.

Come sicuramente ricorderete, mi sto cimentando nella ricerca di lavoro in terra gialla.

Come altrettanto sicuramente ricorderete, uno dei miei pregi fondamentali è la coerenza.

  • Se non vi ricordate nessuna delle due cose e vi volete male, andatevi a leggere ‘st0 post precedente e pure quest’altro (oppure anche no, cioè, se rispondete sticazzi capirò)
  • Se ne ricordate solo una, siete ancora in tempo per scordarvela (scelta consigliata)
  • Se, invece, ricordate entrambe le cose, vi omaggio della mia più profonda stima: la capacità di ricordarsi le cazzate riponendo in un dorato oblio cose ben più importanti, tipo lavarsi i capelli o respirare, è una delle doti che più apprezzo in una persona.

Dunque, siccome sono disoccupata ma coerente, mi sono seduta davanti a un computer e ho affrontato il drammatico mondo degli annunci lavorativi cinesi con l’animo placido e tranquillo delle vacche indù, cioè bestemmiando (ma pacatamente) ogni volta che mi si profilava davanti agli occhi un lavoro figherrimo  – tipo editor per riviste internazionali o assistente personale del megadirettoregalattico  sosia di Johnny Depp –  ma che, ahimè, necessitasse di una fluency in chinese. Siccome lo so che parlo la lingua del demonio come una bambina dislessica di tre anni, coerentemente mi astengo dall’inviare a tali indirizzi il mio prezioso curriculum.

Tale dettaglio, però, non mi frena dall’invio indiscriminato per qualunque altra posizione lavorativa che non abbisogni della turpe favella del demonio: per la legge dei grandi numeri, spero sempre che qualcuno, là fuori, possa accogliere il mio accorato appello e la mia disponibilità allo sfruttamento incondizionato.

Se c’è una cosa che ho capito, dopo due anni in Cina, è che in questo paese la precisione non paga. Curriculum personalizzato? Lettera di presentazione? Raccolta di informazioni sull’azienda e sul selezionatore di turno?

Mpf! Dettagli assolutamente futili, direi quasi fuori luogo. Ecco perché ho puntato sulla strategia del “mucchio selvaggio”: intasamento spregiudicato della posta elettronica altrui, al limite dello stalking. Proprio seguendo i dettami di questa tecnica infallibile, un giorno ricevo un SMS sul telefonino, nel quale mi si invita, boooooom, ad un colloquio.

Qui è necessario fare un piccolo passo indietro per analizzare una delle fasi capitali del mucchio selvaggio, ovvero:  il sereno oblio, che consiste nel dimenticarsi – un secondo dopo aver cliccato su Invia – di tutti i destinatari dell’e-mail, degli annunci lavorativi ai quali abbiamo risposto, delle bieche menzogne asserite sul curriculum e di come ci chiamiamo (per sicurezza), senza provare il benché minimo senso di colpa, ma anzi, lasciandosi andare ad un profondo senso di benessere e freschezza. Ecco quindi perché, sempre coerentemente, mi presento al colloquio senza avere la minima idea di chi io stia per incontrare, e men che meno della posizione per cui mi sto candidando.

Nonostante questi pochi trascurabili dettagli, mi ritrovo a fare un colloquio bomba, dal quale esco con la sensazione di essere una potente imperatrice dei Ming. Cioè, non soltanto verso la fine del colloquio riesco a intuire la posizione per la quale mi sto candidando (Sales and Marketing Supervisor), ma – ancora più importante –  mi accorgo che in quest’ufficio esiste una macchinetta del caffè Espresso.

Sbavando copiosamente al solo pensiero, decido seduta stante che il posto deve essere mio. E infatti, dopo qualche giorno, il posto diventa mio.

Il primo giorno di lavoro però, mi rendo conto di essere stata vittima di un’imboscata. Della donna cinese parlante inglese che mi aveva fatto il colloquio, non vi è più alcuna traccia; al suo posto si è materializzato un uomo cinese parlante cinese. E basta.

Scoprirò solo dopo qualche ora (giusto il tempo di produrmi in una frase di senso compiuto  nella lingua del demonio: “chi sei tu?”) che il cinese parlante cinese è il mio capo, e che non ha la benché minima consapevolezza che nel mondo esistano altre lingue a parte la sua, men che meno quella inglese.

Non c’è molto altro da dire: in questo paese nemmeno la coerenza ha lo stesso significato che ha altrove.  In questo paese il destino sceglie per te. In questo paese tutto può accadere. E infatti accade.



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