Cielo!
mio marito!

parabrezza e malinconie



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Se "il cielo su Torino sembra ridere al tuo fianco", il cielo su Shanghai è portatore sano di paranoia. Eppure, quando meno te l'aspetti, accade l'imprevisto e tutto può tingersi di un altro colore. Quanto durerà? Riflessioni grammaticali, estetiche, semantiche e minchione sulla volta celeste Cinese.

La Cina è un paese straordinario: esistono grattacieli alti 700 metri, hanno costruito il treno più veloce del mondo e si può mangiare fino a farsi scoppiare la milza con poco più di 1 Euro, senza dimenticare il fatto che non esiste alcun obbligo al rispetto di qualsivoglia legge (prima tra tutte quella del buonsenso).

Esiste solo un minuscolo, trascurabile dettaglio, che rende questo paese, la maggior parete del tempo, invivibile.

Sarà l’assenza dei diritti umani? Sarà l’inesorabile censura? Sarà il coefficiente di aria negli stomaci Cinesi che fa sì che ad ogni piè sospinto ci si imbatta in ruttatori professionisti capaci di farti taglio e piega con la sola imposizione dell’alito? Forse. Ma non solo.

Quel che mi rende spesso difficile la vita quotidiana in Cina è la quasi totale assenza di cielo.

Il cielo, questa entità misteriosa e sconosciuta nel caleidoscopico paese delle bacchette unte. Cioè, facciamo chiarezza: non sto dicendo che non esista l’atmosfera, che non esistano i gas che lo compongono e tutte quelle diavolerie chimico-astronomiche che vabbè, sticazzi. Non è che alzando gli occhi vedi un’impalcatura in bambù sulla quale sta appollaiato un  Buddha pacioso che se la sghignazza delle umane sorti mentre ascolta “Dio è morto” di Guccini sull’I-pad.

Io dico solo che il cielo, in qualche accezione minore e minorata del termine, c’è. Ma non è cielo, non è il cielo che piace a me, non è il cielo che le umane creature vorrebbero trovare aprendo gli occhi al mattino. Il cielo in Cina è un parasole da parabrezza, di quelli che usava mio padre per riparare l’Alfa Romeo bianca dalla canicola degli agosti Siculi, di quelli scoloriti da troppi anni passati a fare il loro lavoro (senza peraltro riuscirci. Mai. Perché appena risalivi in macchina, anche solo dopo pochi minuti, la pelle dei sedili si fondeva direttamente con quella del culo, provocandoti delle istantanee e dolorosissime piaghe da decubito). Il cielo Cinese ha la stessa, inutile funzione dei parasole da parabrezza, con l’unica differenza che al cielo, qua, non gli puoi cambiare colore.

Il cielo a Shanghai è monodimensionale, piatto e di colore indefinito: cinquanta sfumature di grigio, tiè. Se va di culo può mostrare, di tanto in tanto, impercettibili smagliature di azzurrognolo, ma è un fenomeno rarissimo che non dura quasi mai più di pochi secondi al giorno, e quando lo vedi devi far finta di nulla, perché se si sentono troppo osservate, le smagliature si ritraggono come i colli delle tartarughe e non tornano più per mesi (magari succedesse pure con quelle sulle cosce).

Io per esempio, una volta l’ho visto, il cielo qui a Shanghai! Lo giuro, ho anche delle prove fotografiche a sostegno.

Tornavo in bici a casa, erano tipo le 5 del mattino. L’aria era fresca e l’Italia aveva vinto contro la Germania agli Europei, umiliandola per 2 a 1 (non ancora consapevole della tragica disfatta che sarebbe seguita di lì a pochi giorni: Spagna-Italia 4 a 0). Agli angoli delle strade branchi di tedeschi, umiliati e sconfitti, camminavano lenti, mogi e a testa bassa. E il cielo ha voluto essere testimone di quel bel momento di vittoria Italica, mostrandosi per ben 20 minuti in uno splendente azzurro striato da cirri bianchi. Ragazzi, quale imperdibile spettacolo della natura. Ho avuto il tempo di scattare una foto a perenne ricordo: arrivata a casa e affacciatami al balcone, il cielo era tornato la cappa incolore di sempre. Da questo breve momento di vita vissuta, quindi, l’assioma irrefutabile: “il cielo a Shanghai esiste. Ma solo dalle 5.15 alle 5.35. Di un mattino d’estate.”

Credo che in lingua Cinese non possano ragionevolmente esistere locuzioni del tipo “Volesse il cielo”, “Grazie al cielo” o la ben più interessante  “Cielo! Mio marito!” (e ammesso che esistano e che abbiano una valenza semantica, non possono averne una logica ed estetica, di sicuro).

L’essere umano, si sa, si adatta a tutto. In millenni di evoluzione abbiamo imparato a ripararci dal freddo, a procacciarci il cibo, a camminare eretti, a non votare più Berlusconi…

Vvvabbè… l’umanità, alla fine, è ancora giovane e imperfetta.

Comunque, dicevo, se siamo riusciti a sopravvivere a terremoti, frane, tsunami, eruzioni vulcaniche, invasioni di cavallette e proclami di Borghezio, ci sarà pure un modo per sopravvivere alla miseria del cielo di Shanghai! No?!

Ecco, se lo trovate fate un fischio: io qua sono.



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